ZULEIKA APRE GLI OCCHI

di Elisabetta Marini


“Zuleika apre gli occhi” è un libro che vi sorprenderà per la sua potenza, soprattutto se si considera la giovane età dell’autrice, Guzel’Jachina.

Uscito in Russia nel 2015 dopo un difficile percorso dovuto al rifiuto di vari editori, nel giro di poco tempo vince due importanti premi. Viene pubblicato in Italia da Sellerio nel 2017 e negli anni successivi in 39 paesi. Nel 2020 vince il premio Tomasi di Lampedusa.

L’autrice, giornalista e sceneggiatrice, è alla sua prima opera letteraria e questo evento meraviglia il lettore che non può non riconoscere in questo romanzo tutta la potenza dei grandi romanzi russi, pur trovandosi davanti a una scrittura svelta e moderna.

Lo stile è facile, piano, discorsivo. La Jachina descrive con toni lievi e pacati anche situazioni torbide e violente, giunge ad essere incalzante nei momenti più drammatici senza divenire mai oscura o morbosa. Il lettore si trova così avvinto alla trama senza però restarne angosciato.

Non per nulla Jachina è stata riconosciuta come l’erede dei grandi autori russi e Zuleika è stata associata dalla critica letteraria, a pieno titolo, alle eroine protagoniste dei più celebri romanzi ottocenteschi.
In “Zuleika apre gli occhi” attraverso descrizioni particolareggiate ci immergiamo negli immensi spazi della Russia, ma soprattutto della Siberia. Perché è proprio la Siberia la destinazione finale della povera piccola vedova tatara.

Solo l’evocazione del nome fa tremare i polsi: infinite distese solcate dal grande fiume Angara, terribilmente ostili in inverno quando un gelido vento le percorre e le spazza furioso e montagne di neve le coprono. Ma questi stessi spazi durante la breve estate, nonostante la calura satura di insetti, diventano accoglienti per l’abbondante selvaggina della tajga, per la vegetazione lussureggiante dell’urman e la varietà di pesci nell’Angara.

In questa realtà impossibile vengono abbandonati in una radura, per un inverno, una trentina fra Tatari, Leningradesi, mordvini, mari, ucraini, georgiani. Tranne qualche intellettuale di Leningrado per lo più i deportati erano kulaki, vale a dire agricoltori proprietari delle terre che coltivavano e per questo ritenuti, in epoca Staliniana, nemici del popolo.

La storia, seppur incredibile, è vera. L’autrice si è ispirata, oltre che all’evento storico conosciuto come dekulakizzazione, promossa negli anni trenta da Stalin – una strage paragonabile solo con l’olocausto degli ebrei che si sarebbe verificato da lì a poco nel cuore dell’Europa occidentale – anche ai racconti di sua nonna, bambina tatara deportata con la famiglia per sedici anni in un campo di lavoro in Siberia, e di altri sopravvissuti incontrati dall’autrice prima di iniziare la stesura del libro.

Come in ogni buon romanzo russo non mancano anche in questo libro forti sentimenti quali l’onore, il dovere e l’odio. Troviamo il rigore delle tradizioni religiose, la morsa del perbenismo – derivato da assurde e ancestrali regole sociali – le limitazioni comportamentali legate alle superstizioni. E non manca certo né la critica né la derisione della solita elefantiaca burocrazia russa, in questo contesto storico (1930-1946) più che mai autoreferenziale, cieca, ottusa e proiettata esclusivamente verso l’autodifesa da nemici interni ed esterni veri o immaginari.

Zuleika dopo aver perso il marito Murtaza – a cui era legata più per convenzione sociale e religiosa che per amore – impiega sei mesi per giungere da deportata in treno in Siberia, dove sbarcherà sopravvivendo a un naufragio, per trascorrervi inizialmente in ricoveri sotterranei e poi in izbe quasi accoglienti il primo di sedici inverni. Qui partorisce Juzuf, il figlio di suo marito, che riesce a crescere nonostante i terribili stenti e la mancanza di ogni sostegno fisico e psicologico, nutrendolo letteralmente anche del proprio sangue.

Ma nonostante la vita pesantissima, le privazioni e i continui soprusi di cui è vittima, Zuleika continuerà ad essere prigioniera delle sue superstizioni e dei suoi vincoli religiosi, autopunendosi dopo ogni tentativo di vivere una vita sentimentale e affettiva. La sua mente le farà riaffiorare – anche a distanza di anni – la terribile figura della Vampira, la crudele suocera cieca e sorda, che in veste di giudice inappellabile, giudicherà per poi condannare la sua condotta morale.

Vari saranno i momenti in cui Zuleika aprirà gli occhi nel corso di questi sedici anni di privazioni, dolori, fatiche e abusi riuscendo infine a intaccare quello scudo protettivo dietro il quale si era inconsciamente nascosta.

E finalmente riuscirà ad accettare, in età avanzata – una volta sola e abbandonata – quell’amore giovanile sempre rifiutato e rinnegato.


SCELTI PER TE

Gli immiliti, cronache di un interno borghese, di Emanuele Ludovisi, Palombi Editori, 444 pagine, pubblicato nel 2022.

Immiliti significa non combattenti. E in questo bel romanzo intimista e introspettivo i cinque protagonisti, amici alto borghesi, vivono in un immobilismo affettivo e sociale che garantisce la sopravvivenza del gruppo da loro definito “famiglia.” Prisca, la femmina alfa, ne è la sacerdotessa dei riti e garante degli equilibri. La “famiglia” è bella e attraente, per questo oggetto di desiderio, e Prisca la deve difendere da tutti i tentativi di intrusione perché la “borghesia non è una classe sociale ma un aspirazione di vita”

Le distrazioni, di Federica de Paolis, ed. HarperCollins Italia, 288 pagine, pubblicato nel 2022.

La sapiente e garbata penna della de Paolis trasforma il temporaneo smarrimento del piccolo Elia in un evento catartico che permette a Viola – ancora in piena crisi post traumatica dopo un grave incidente stradale – e a Paolo – oberato da importanti problemi lavorativi e da eccessive responsabilità familiari – di ritrovarsi come coppia e di riconsolidare sfilacciati legami familiari.

Il tutto sullo sfondo ben tratteggiato dei quartieri di Roma Nord.

Finalista premio Bancarella 2023.


mail: elisabettamarini@womenlife.it