VITTORIO DE SICA, PARLAMI D’AMORE MARIÙ

di Antonella Reda e Susanna Rotunno


“Il mio scopo è quello di rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola cronaca, anzi nella piccolissima cronaca” queste parole dette da Vittorio de Sica, ben rappresentano lo spirito di apertura de “L’oro di Napoli”, con cui l’81esima Mostra del Cinema di Venezia ricorda il Maestro a 70 anni dall’uscita del film oggi completamente restaurato, realizzato nel 1954.  Sei capitoli tratti dai racconti di Giuseppe Marotta, sei facce di una città che racconta anima e umore di un popolo conosciuto in tutto il mondo, e che parla della contemporaneità degli anni 50 attraverso 6 grandissimi attori. Nella lista dei 100 film italiani da salvare, è stato restaurato in versione digitale 4k. Due dei protagonisti: Silvana Mangano e Paolo Stoppa hanno vinto il Nastro d’Argento mentre gli altri non vanno dimenticati: Sophia Loren, Teresa De Vita, Totò, Edoardo De Filippo, Vittorio De Sica. Interpretazioni che esaltano il confine tra tragedia e commedia senza mai retorica.

Venezia 2024 è anche un modo per ricordare il grande De Sica a 50 anni dalla sua morte, grande anche per lo spirito che lo avvolgeva, sempre lontano da luoghi comuni e banalità. Nato a Sora il 7 luglio 1901 avrà sempre nel cuore due città: Roma e Napoli.  La famiglia di umili origini, come lui ricorda, viveva in “tragica e aristocratica povertà” ma gli consente gli studi fino all’età di 15 anni, e nonostante poi si debba guadagnare da vivere lavorando come garzone, riesce a diplomarsi ragioniere. Nel 1914 con papà Umberto e mamma Teresa Manfredi, casalinga napoletana, si trasferisce a Napoli e dopo l’inizio della prima guerra mondiale, a Firenze, fino al definitivo arrivo a Roma.

Sono proprio a Roma i primi passi d’attore: appena adolescente recita per i militari ricoverati, fino al suo primo esordio per il Teatro con la compagnia Tatiana Pavlova, “Sogno d’amore”. Mentre prosegue nella carriera teatrale, viene notato dal cinema e nel 1932 eccolo sulle scene del film, “Gli uomini che mascalzoni” di Mario Camerini, una novella scritta con garbo, arguta e sottile, conferma che Vittorio aveva il palcoscenico nel sangue. Dopo alcune commedie sul “genere”, de Sica cambia registro con l’intenso “I bambini ci guardano”, da lui diretto tra il 1942 e il ‘43, caposcuola della corrente del Neorealismo, corrente rivoluzionaria che mette al centro delle storie i drammi della gente comune. Con il felice connubio De Sica-Zavattini, Rossellini, Visconti, cambia il volto del cinema non solo in Italia. È il 1946 quando esce Sciuscià, primo film italiano a vincere l’Oscar e primo Nastro d’Argento e poi nel 1948, Ladri di biciclette, secondo film che avrà l’onore di ricevere la statuetta. Sempre sull’onda della poetica realista, De Sica gira Miracolo a Milano poi nel 1952 Umberto D, un capolavoro, omaggio sincero e commosso al tema della vecchiaia, una copia custodita in ogni importante cineteca del mondo. Attore, sceneggiatore, regista, De Sica è stato un artista instancabile e non ha mai smesso di recitare. Compare in più di 100 pellicole ma la più amata interpretazione e la più applaudita per simpatia è quella del maresciallo Carotenuto in “Pane amore e fantasia” del 1953, accanto ad una splendida, carnale appassionata Gina Lollobrigida.  

Intorno agli anni ’60, ancora una svolta di contenuto per raccontare uno spaccato sociale dell’Italia a cavallo della guerra. Un susseguirsi di successi memorabili: L’oro di Napoli, La Ciociara, Ieri, oggi, domani, Matrimonio all’italiana, e nel 1970, Il giardino dei Finzi Contini, tratto dal romanzo di Bassani, che riceverà il terzo Oscar. All’alba delle 4,30 l’annuncio dato a Vittorio con la canonica emozionante telefonata: “Una notte terribile” commenta in una intervista rilasciata al Tg1 al cronista Alberto Michelini, che chiede al Maestro “A 26 anni da Sciuscià questo nuovo Oscar ha un significato particolare?”  “Si credo che il Giardino dei Finzi Contini sia stato premiato non solo per i suoi meriti artistici ma per il significato morale”. Nell’affrontare la persecuzione degli ebrei italiani, per la prima volta la responsabilità dell’accaduto viene attribuita anche agli italiani stessi, una dolorosa presa di coscienza.  “Per lei come uomo questo riconoscimento che importanza ha?” e la risposta è piena della filosofia umana di Vittorio “dovrei dire sono soddisfattissimo ma il mio carattere mi vieta di essere presuntuoso e pieno di me stesso. Io devo dire che questo premio mi da uno stato di angoscia, in quanto mi da una maggiore responsabilità e aumenta la mia responsabilità verso la critica, verso il pubblico, di fare sempre meglio”. Il grande Luchino Visconti commenta il film e va oltre riconoscendo non solo la responsabilità del Maestro, ma l’enorme versatilità dell’artista, passato dalla commedia alla tragedia sia come attore che come regista, offrendoci una gamma vastissima di cui non tutti sono capaci.

Aveva una passione sfrenata per il gioco che ne aumentava la simpatia, una debolezza che concedeva al Maestro una piega umana, debolezza che non nascose mai e che anzi riportò con ironia in alcuni dei suoi personaggi del cinema come il Conte Max e L’oro di Napoli. Da gran galantuomo seduttore amava le donne ma una sola per sempre. Dopo il primo matrimonio con Giuditta Rissone da cui ebbe l’amata figlia Emy, conosce l’attrice Maria Mercader. Nascono  Manuel e Christian. Se pur divorziato non seppe mai rinunciare alla prima famiglia in un movimentato ma sereno doppio ménage, doppie festività comprese.

 Io ho guadagnato fama e quattrini lasciandomi guidare dalla pigrizia, il mio sorriso mi ha regalato un’anima allegra che non mi appartiene” Ma grazie a quel sorriso, il “conquistatore galantuomo” è uno dei più grandi registi della storia del cinema, esaltato anche all’estero come esempio di artista sublime. Lavora fino alla fine realizzando nel 1974 “Il viaggio”, tratto da una novella di Luigi Pirandello, un film drammatico dal profetico destino.

Muore a Parigi il 13 novembre 1974. Aveva 72 anni

“Un uomo che non sarà mai vecchio, mai vecchio oltre le sue opere che dimostrano la sua vitalità e la sua giovinezza” Luchino Visconti


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