VIS-A-VIS CON BENEDETTA BUCCELLATO

di Chiara Montenero


Nata a Roma, la sua famiglia si è trasferita a Salerno dove Benedetta ha avuto le prime esperienze teatrali e dove ha frequentato la Facoltà di Lettere Classiche laureandosi in Storia del Teatro e dello Spettacolo. Terminati gli studi, è ritornata a Roma, dove si è diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico Ha debuttato in teatro nel 1975 come Ofelia in Amleto di Carmelo Bene. Da allora è stata protagonista in oltre cinquanta produzioni teatrali, diretta da importanti registi italiani (Maurizio Scaparro, Andrea Camilleri, Luca Ronconi, Egisto Marcucci, Elio Petri – prima e unica regia teatrale –, Antonio Calenda, Aldo Trionfo, Luigi Squarzina, Franco Zeffirelli, Enrico Maria Salerno, Giorgio Albertazzi) e stranieri (Benno Besson, Micha van Hoecke, Jerzy Stuhr). Autrice teatrale e radiofonica, tra i suoi testi rappresentati: La trasvolata di Italo Balbo, con Anna Marchesini; Valzer viola, regia di Umberto Marino (1981); La Pizia, da Friedrich Dürrenmatt, regia di Francesco Origo (1990); Marchas e Pitolet, regia di Francesco Origo (1991); la trilogia Qualcosa di nero (2005), Qualcosa di verde (2006) e Qualcosa di rosso (2007), regia della stessa autrice. È stata per otto anni presidente della Fondazione Nicolò Piccolomini per l’Accademia d’arte drammatica, istituto pubblico di assistenza e beneficenza per gli artisti teatrali anziani e indigenti. È segretario generale della APTI – Associazione per il Teatro Italiano e docente di Tecniche della Recitazione all’Accademia Nazionale d’Arte drammatica Silvio D’Amico.

Benedetta, quando hai deciso di fare l’attrice, era il tuo sogno di bambina?

Direi di si. Da bambina organizzavo recite con fratelli, cugini e amici. Ripagavo le mie sorelle, piuttosto riottose, apparecchiando o sparecchiando la tavola; i fratelli, più piccoli, non creavano invece problemi.  Crescendo ho immaginato alcune alternative: l’archeologia, la storia dell’arte, la scrittura. Ma poi il teatro ha vinto su tutte. I miei genitori non sono mai intervenuti d’autorità nelle mie scelte, l’unica cosa che mio padre mi raccomandò è che mi laureassi. Così entrai all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico in contemporanea con l’ultimo anno di Lettere classiche.

Qual è stato il tuo ruolo più impegnativo finora e perché?

Non ricordo un personaggio che mi abbia impegnato più di altri, perché ogni nuovo personaggio è l’inizio di un percorso inedito, di una nuova avventura.  Ho interpretato tante protagoniste del teatro classico, moderno e contemporaneo e quando si inizia un rapporto con un testo e un personaggio nuovi l’impegno è totale, assorbe completamente.

Quali sono le sfide principali da affrontare nel mondo della recitazione?

Credo che la sfida principale per un attore sia quella di non annoiare il pubblico, di coinvolgerlo nel racconto di una storia, nel rispetto delle parole dell’autore e ponendosi come magico tramite con la platea. La personalità, le caratteristiche di ogni interprete ritengo debbano essere al servizio dell’insostituibile rito del Teatro.

Come ti prepari per un nuovo ruolo e come ti immergi nel personaggio?

Studio l’autore, il contesto storico, il linguaggio. Mi pongo, nei confronti del personaggio, in maniera completamente laica, senza esprimere giudizi di alcun tipo. In questo l’attore è vicino allo psicologo. E fondamentale è il rapporto con gli altri personaggi: solo approfondendo tale rapporto si riesce a individuare le caratteristiche del proprio. Perché l’allestimento di uno spettacolo teatrale è un lavoro collettivo, mai singolo e solipsistico. Poi c’è lo studio della memoria, memoria delle battute e dei movimenti, che consente, una volta raggiunto l’obiettivo, di poter finalmente agire con sicurezza.

Oltre a recitare, sei anche docente all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, come riesci a conciliare le due cose?

Sono da anni docente di Tecniche della Recitazione, ma sono una docente a contratto e l’impegno non copre tutto l’anno accademico. C’è poi da dire che non sono più impegnata, come negli anni passati, in lunghe tournée e non tanto per la mia età quanto per la profonda trasformazione del teatro italiano. Il teatro italiano, da secoli, si è sempre caratterizzato, a differenza di tanti altri paesi in Europa e nel mondo, come teatro di giro. Fino a qualche anno fa era normale che le grandi compagnie, pubbliche e private, portassero in giro gli spettacoli per tutta l’Italia, in grandi e piccole città, tutte dotate di teatri storici. La crisi economica degli enti locali e le restrizioni dei vari governi nel campo della Cultura e dello Spettacolo hanno portato a una drammatica contrazione: oggi è difficile far girare uno spettacolo in maniera adeguata. Dalle tournée di 6-7 mesi si è passati a quelle di 2-3 mesi, nei casi più fortunati. E non si recita più tutti giorni, magari solo nei fine settimana. E’ una situazione di grave crisi che però non ha mai preoccupato i governi che da anni si sono succeduti. Quindi, per tornare alla domanda, non sono più impegnata, e con me i miei colleghi, per lunghi periodi.

Quali consigli daresti ai giovani che desiderano intraprendere la carriera di attore?

Il primo consiglio che detti a mio figlio Giovanni, sceneggiatore e regista cinematografico, è il medesimo che do ai ragazzi che vogliono fare gli attori: verificare con sé stessi se effettivamente è questa la strada che si desidera intraprendere. Subito dopo studiare la drammaturgia e la Storia del Teatro per comprendere le trasformazioni che ha avuto nei secoli e il suo insostituibile ruolo di rito collettivo. Temo che il nostro contemporaneo, tra media-spazzatura e influencer, dia ai giovanissimi sollecitazioni pericolose. Il Teatro è lo spazio del Grande Gioco collettivo, non il tentativo di imporre la propria individualità, non l’esibizione del proprio corpo. Le regole del Teatro, anche di quello contemporaneo, sono regole antiche e bisogna conoscerle.

Se dovessi scegliere fra teatro, televisione o cinema?

Ho lavorato nel cinema, in televisione, ma soprattutto in teatro e credo che un attore debba potere e sapere utilizzare i diversi linguaggi. Privilegiando, laddove sia possibile, la qualità e l’autorialità. Ma, in tutta sincerità, il Teatro è, e resta, il mio primo e grande amore.

C’è un regista con cui sogni di lavorare e perché?

Ho avuto la fortuna di lavorare con i più importanti registi del Novecento, italiani ed europei (mi manca Strehler). Oggi mi piacerebbe lavorare con un/una giovane regista esordiente di qualità.

Hai da poco creato una fondazione in memoria di tuo padre, uomo di grande cultura e poeta, puoi parlarcene?

Con i miei fratelli, in primis Francesco, e con un nutrito gruppo di esponenti della cultura, dell’informazione e dello spettacolo, abbiamo dato vita alla Fondazione Nino Buccellato. Dopo la pubblicazione delle opere complete, ci è sembrato naturale promuovere la nascita di una fondazione che si occupi della conservazione di tutto il materiale letterario che mio padre ha lasciato e che possa  contemporaneamente dare vita a nuove esperienze di studio e di incontro nel campo della letteratura e della poesia.

Progetti futuri?

Ho da poco ripreso un monologo cui sono molto legata. E’ “Anna Cappelli”, che Annibale Ruccello scrisse per me nel 1986. L’ultimo suo testo. Quando lo portai in scena, al Teatro Tenda a strisce di Roma, Annibale era morto da pochi giorni in un incidente stradale. Annibale era veramente giovane, neanche trentenne, e già era diventato un punto di riferimento della nuova drammaturgia italiana. Dopo quasi quarant’anni ho deciso di riportarlo in scena. Con grande emozione. Ho già debuttato a Calvi dell’Umbria, dove vivo da qualche anno, in un bel teatro ricavato da una chiesa del Seicento e lo porterò in giro nella prossima stagione con la regia di Amedeo Fago e i costumi di Lia Morandini.

Quale è la prima cosa che fai al risveglio e quale l’ultima prima di dormire?

Al risveglio, prima del rito del caffè insieme con mio marito, controllo dove sono Rosetta e Vincenzo, i miei gatti. Prima di dormire, dopo aver letto per almeno un’ora, mi auguro di addormentarmi in tempi ragionevoli. Se ho uno spettacolo in preparazione, ripasso mentalmente la memoria.


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