RITA LEVI MONTALCINI: UNA SCIENZIATA MILITANTE
di Antonella Reda e Susanna Rotunno
25 NOVEMBRE: GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE, UN OMAGGIO AD UNA VITA “INDIMENTICABILE”
“La mia vita è stata fortunata, molto, molto fortunata. Quello che era apparentemente contro è diventato una chance, essere dichiarata di razza inferiore da Hitler e Mussolini è stata una grande fortuna… ho potuto lavorare in camera da letto e questo isolamento mi ha portata a Stoccolma per il Nobel tre decenni dopo”. Rita Levi Montalcini in una intervista rilasciata alla Rai per i suoi 100 anni.
Ma come ci è arrivata, Rita, a quel traguardo? Il libro Un sogno al microscopio, scritto dalla nipote, Piera Levi-Montalcini, con Alberto Cappio ripercorre la sua vita, ricordando che già da bambina, passando davanti al grande ospedale militare, vedendo le infermiere che dedicavano la loro vita ai soldati, aveva provato una misteriosa commozione. “Avrebbe voluto, nei suoi sogni di bambina, essere una di loro». Rita nasce a Torino il 22 aprile 1909 nella colta famiglia Levi, il padre Adriano e la madre Adele Montalcini, discendente da un’antica dinastia di ebrei. Una bambina sveglia, avida di conoscere, di imparare. Una bimba che ama farlo soprattutto insieme ai fratelli Gino, Nina e Paola, figure fondamentali nella sua formazione. Cresce in un clima sereno anche se il rigore della concezione vittoriana, animava le idee del padre. Lei stessa al riguardo diceva “Mio padre pensava difficile conciliare la vita di madre e di moglie con il lavoro. Un giorno gli ho detto che non intendevo diventare né moglie né madre e che mi permettesse di fare quello che volevo. Lui disse: non ti approvo ma non posso impedirtelo” Così nel 1936 Rita si laurea in medicina e chirurgia con 110 e lode, specializzandosi poi in neurologia e psichiatria. Nel 1938/39 sono però le leggi razziali ad impedirle di proseguire la carriera universitaria. Di quel periodo ricorda “Non ci siamo dovuti nascondere ma eravamo oggetto di violente insolenze sui giornali e sui muri”. Quando i nazisti l’8 settembre del ’43, invadono l’Italia, i Levi diventano clandestini e con un altro nome si rifugiano a Firenze dove rimangono nascosti per qualche anno. Finita la guerra la famiglia torna a Torino dove Rita inaspettatamente nel 1947 riceve una lettera dal professor Hamburger, che la invita a recarsi in America all’Università di Washington Saint Louis, per un progetto riguardante gli studi sulla neuro genesi. Imbarcata su una piccola nave polacca, partiva per uno stage di 6 mesi ma quella partenza cambierà la sua vita per sempre. Rita rimarrà infatti negli Stati Uniti per 30 anni.
LA SCOPERTA
Il suo intento era quello di capire come si formano le fibre nervose e quali sono i fattori che regolano la crescita del sistema nervoso. China giorno e notte sul microscopio, ricorda così la conquista: “Ho scoperto una proteina che poi con Stanley Cohen abbiamo riconosciuto che poteva modificare lo sviluppo di determinate proporzioni di cellule nervose del sistema simpatico, queste cellule alle quali veniva data questa proteina venivano totalmente sconvolte e penetravano là dove non dovevano”. La scoperta era contro i dogmi del tempo… “quindi dimostravo che il sistema nervoso è tutt’altro che fisso ma è dinamicamente sottoposto a condizioni ambientali.” È il 15/12/1952 quando viene definito ufficialmente il nome della scoperta: NGF, NERVE GROWTH FACTOR, che chiarì la funzione del fattore di crescita sul sistema nervoso: “Quando si è poi capito e non è stato mio il merito, che questa molecola modificava le componenti nonsoltanto periferiche del sistema nervoso ma anche quelle che sono importanti nei sistemi emotivi e cognitivi del cervello, allora l’interesse della comunità scientifica si è rivolta alla mia molecola. Nel 1990 ho capito che questa agiva non solo su cellule nervose ma anche cellule del sistema immunitario e endocrino e aveva uno spazio di attività enormemente maggiore di quello per il quale avevo avuto il Nobel. Questa molecola nelle condizioni senili può essere carente e portare alla demenza e all’Alzheimer perché vengono a morire tutte le cellule. Noi abbiamo provato NGF in un modello animale e abbiamo visto che può essere recuperata la funzione alle minime condizioni iniziali. Le ricerche sono proseguite con professori di grande spessore, Pietro Calissano e Antonino Cataneo, ma tutto a livello di ricerca, non di applicazione farmacologica. Quindi non sappiamo che effetto avrà sugli esseri umani… e forse io non lo saprò mai.”
NOBEL
Il giorno prima della nomina che le avrebbe conferito il Premio Nobel, Rita Levi Montalcini, si trovava a Stoccolma per una conferenza. Il Chairman, presidente del convegno, annuncia ai partecipanti di inviare una relazione, poi si rivolge a lei dicendo: “Lei no” ma non le spiega il perché. Rita così torna a Roma dove la sorprende una telefonata con la notizia: era la prima donna italiana a ricevere il premio Nobel per la Medicina. Alla cerimonia si presenta con un sofisticato abito nero del couturier Roberto Capucci: “Non potendo cambiare me, cambiò il vestito”, dirà poi raccontando quel 10 dicembre del 1986, sempre perfettamente riconoscibile anche per l’acconciatura “a schiaffo”, suggerita proprio dal suo amico Capucci, ripescata dagli anni 60 e che non ha mai abbandonato. In un’intervista rilasciata a Enzo Biagi con candore ricorda “La cerimonia non mi ha colpito, vedevo la gente intorno a me che piangeva ma io non provavo quella loro emozione, le giornate più belle per me sono quelle quando faccio le scoperte”.
NON SOLO SCIENZA
Femminista, progressista, battagliera, dopo il Nobel diventa celebre, un’icona di molte battaglie civili e di un pensiero libero che suona persino rivoluzionario: «Non mi sono sposata perché non avevo tempo. Gli uomini mi piacciono, ma se non posso lavorarci insieme, mi annoio». Scrive libri di ricordi, decine di prefazioni, lettere alle autorità e persino una canzone per il Festival di Sanremo per i Jalisse. Milita contro le mine anti-uomo e la fame nel mondo, sostiene le necessità della ricerca; colleziona premi e lauree honoris causa. Nel 1992 crea una fondazione per aiutare con borse di studio le studentesse africane, e nel 2001 viene nominata Senatrice a vita dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Sotto il governo Prodi, il suo voto diventa decisivo: minaccia di bocciare la legge finanziaria se verrà mantenuto il taglio dei fondi per la ricerca. E la spunta. In un’intervista a Fabio Fazio del 2008conferma lo scopo della vita: “disinteressarsi di sé stessi, interessarsi al mondo che ci circonda e fare il possibile per venire in aiuto a chi ne ha bisogno”.
L’EREDITA’
Rita Levi Montalcini ha sempre sostenuto i giovani e stimolato le loro qualità incoraggiandoli a credere nei valori morali ed etici. “La morte non conta niente quello che conta è che i messaggi che abbiamo mandato in vita siano raccolti dagli altri”. E i suoi messaggi si sono rivolti sempre e soprattutto alle giovani, le sue parole sono vive ancora oggi, in un mondo in cui la violenza alle donne è cronaca quotidiana: “Io tengo alle giovani ragazze e mi aspetto che si rendano conto dell’enorme potenziale umano mai utilizzato, sottomesse all’altro sesso non per inferiore capacità ma per diritto della forza fisica. Nelle componenti maschili vigeva l’idea che quella forza fosse anche mentale e questo non era vero.”
Una grande donna, indimenticabile, una scienziata libera. Rita muore il 30 dicembre del 2012 all’età di 103 anni
“In Rita Levi Montalcini convivevano una volontà indomita e un piglio principesco, accanto a quella rara combinazione di pazienza ed impazienza, propria dei grandi innovatori”. Arrigo Levi
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