RAFFAELE CURI E BARTOLO CATTAFI

di Andrea Simi
Raffaele Curi
Raffaele Curi è da sempre uomo di spettacolo: attore, drammaturgo, regista teatrale. E da sempre si aggira nel mondo dell’arte: è stato per anni vicino a personaggi come Man Ray e Giancarlo Menotti e ora è direttore artistico della fondazione “Alda Fendi – Esperimenti”. Un talento multiforme, quindi, che – non più giovane – ha deciso di affacciarsi nel mondo della poesia con un prezioso “librino” (come lo avrebbe definito D’Arrigo) di componimenti, tutti brevissimi e intensi, raccolti in una raffinata veste editoriale sotto il titolo: “Occhi blu avrà la notte”.
La scrittura di Curi è densa, ma impastata di molte sostanze diverse: è epigrammatica, aforistica, ermetica, ironica. E i cambi di registro sono continui, spesso fulminei. Dai toni alti, quasi da poeta laureato (frequenti le assonanze con il Quasimodo ermetico di “Ed è subito sera”) si passa improvvisamente a immagini di tutt’altro genere: “Antica piaga/ di chi nasce nell’oscurità/ fammi andare/ in cielo con gli asinelli”. E si sfiorano con mano leggera temi dolenti, come l’incomunicabilità: “Ti avrei cercata/ ma tu eri già qui/ senza contatti”. In questo mi sento di avvicinarlo al Corrado Calabrò di “Dimmelo per Sms” e, risalendo nel tempo, a Bartolo Cattafi (vedi qui di seguito), un poeta importante – e purtroppo quasi dimenticato – del secolo breve: “Non si cattura/un Dio/per farne uno schiavo/non si cattura/ un poeta/ per farne un padre/ i poeti sono figli / di tutti/ e padri di nessuno/”; questo scrive Curi, ma avrebbe potuto scriverlo anche Cattafi.
Bartolo Cattafi
Cattafi nei suoi versi esprime tutte le inquietudini e le incertezze della generazione uscita dalla guerra.
E’ vissuto tra la Sicilia e Milano, dove lavorava nella pubblicità. Ma fu anche grande viaggiatore, curioso e intento – come l’Ulisse dantesco – “a divenir del mondo esperto// e de li vizi umani e del valore “.
I suoi scritti sono sempre suscettibili di una piana lettura testuale e di una, più complessa, lettura metaforica. Sono caratterizzati da una essenzialità espressiva che sconfina nella secchezza dell’epigramma, ma sempre risultano eleganti, e non di rado appare una vena di feroce e rassegnata ironia, molto siciliana.
Eccone due poesie, una delle quali brevissima, che appena bastano ad aprirci uno spiraglio su un così complesso universo poetico.
Timoniere
Quindi andai da lui e gli dissi
Ti prego accosta a dritta
è quello l’arcipelago del cuore.
Mi guardò e sorrise,
mi diede un colpo sulla spalla,
invertì come un fulmine la rotta
e fuggimmo agli antipodi dell’isola
mettendo nelle vele molto vento.
Aveva al timone mani salde,
occhi acuti per tutto.
Isole, scogli, cuori.
Comunque ero caduto in tentazione.
Era questo lo scopo delle isole.
I mostri
I mostri del mare e della terra
le idre le meduse le chimere
tirali fuori come vongole
dal guscio di calcare
prova a farti da loro morsicare
sbiaditi e mollicci
mordono davvero.


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