RADICARSI NELL’ELEMENTO TERRA
di Anna Michela Borracci
Seduta dietro la grande vetrata, osservo il primo temporale che annuncia la fine dell’estate. Apro la finestra per lasciar entrare l’odore della terra bagnata dopo mesi di siccità. Sono al sicuro, nel calore della mia casa, mentre il vento agita le foglie e il cielo ruggisce la sua voglia di esplodere e di rovesciare tutta la sua potenza d’acqua. Dalla condizione in cui mi trovo, posso godermi lo spettacolo, comodamente dalla mia poltrona. Rifletto sull’importanza di questo stato d’animo, del senso di protezione profonda che provo. È così che vorrei stare, sempre. Fuori le tempeste della vita, ma dentro al corpo una pace che ti consente di affrontarle con lucidità. E se fossi ancora sulla parete rocciosa? Riuscirei a sentirmi altrettanto forte? Sarei capace di gestire la situazione, il freddo improvviso, i vestiti bagnati, la nebbia che cancella il sentiero e il buio che avanza? Quante volte nella vita mi sono trovata a perdere il senso dell’orientamento, a sentire che la terra sotto i piedi diveniva improvvisamente scivolosa. Lo yoga è il cammino su cui mi sono trovata, forse non casualmente, e che continua a insegnarmi, ogni giorno, a difendere e ripristinare la solidità di questa mia terra, con pazienza, fiducia e sicurezza. Quando perdiamo, per qualsiasi motivo, il nostro diritto a essere al centro del nostro mondo, spostiamo all’esterno, sul terreno instabile del giudizio e delle attese altrui, il nostro processo di realizzazione personale. Le nostre risorse interiori vacillano, mondo interno ed esterno smettono di nutrirsi vicendevolmente, lasciando campo libero alle avversità. Quanto sarebbe più bello rimanere radicati in uno stato di natura! Allora ci sorprenderemmo ad accogliere sapori, suoni, luci, colori, nel nostro caleidoscopio di emozioni e a trovare una forza, una gentilezza e un rispetto che non immaginavamo di avere. È una condizione ideale, paradisiaca, cui possiamo tendere. Imparare ad accogliere il cambiamento come la parte più importante del gioco della vita, senza lasciarci spaventare, rendersi disponibili alla trasformazione e alla crescita, e anche al naturale decadimento, rimanendo tuttavia al centro, come un perno immobile su cui tutto si poggia, ruota e si anima, in una danza armonica come quella di Shiva, Anandatandava, la danza della beatitudine che simboleggia il ritmo di nascita e morte di tutte le cose.
Sostegno, inteso come sicurezza, stabilità, solidità, fermezza sono tutte qualità praniche che nello Yoga, ma anche nell’Antica Medicina Cinese, e nel nostro senso comune, sono associate all’elemento Terra. Esse mettono l’impronta nella nostra psiche fin dalla vita prenatale, nel rapporto di relazione con l’esterno, filtrato dal ventre materno. Per questo, lo Yoga in gravidanza è fortemente raccomandato, non solo come preparazione al parto e al post parto, ma anche dal punto di vista del bambino che registra ogni alterazione nei muscoli, nel cuore, nel respiro della madre, esattamente come il cibo arriva attraverso il cordone ombelicale. Terra è ciò che, venuti al mondo, ci collega allo spazio dell’esistenza, le radici, il nutrimento, l’amore, la salute, la famiglia, e quindi la sicurezza, ma è anche l’eliminare, il lasciar andare il superfluo, ciò che appesantisce la vita impedendole di esprimersi. E terra è anche la concretezza della forma. Giocando con il corpo, il bambino mette in relazione la mente e la sua casa, i piedi che gli consentiranno in pochi mesi di sorreggere il suo peso e lo spostamento, le manine per stringere, aggrapparsi, ciucciare e poi afferrare il cibo o allontanare.
La pratica costante dell’Hatha Yoga aiuta a nutrire o a ricreare la connessione con questo elemento, disturbato in difetto o in eccesso dalla nostra incapacità di perfetto adattamento alla vita. Nel Kundalini Yoga il risveglio della forza vitale, che presiede alla beatitudine, alla longevità e conduce all’illuminazione, inizia proprio dalla Terra, dalla purificazione del primo dei sei Chakra, Mûlâdhâra, la radice dell’Âdhâra (il ventre). Idealmente collocato alla base sacrale della colonna, è descritto come un loto quadrato di colore giallo splendente inscritto in un cerchio circondato da quattro petali. La similitudine geometrica con l’uomo vitruviano è lampante. Nel disegno leonardesco, l’uomo inscritto in un quadrato e in un cerchio diviene misura dell’universo e di tutte le cose. Il quadrato rappresenta proprio la Terra, il microcosmo, mentre il cerchio rappresenta il Cielo, il macrocosmo. E su griglia quadrata, quasi a ricordare la simmetria tra spazio sacro e sacralità del corpo, è progettata la base architettonica di tutti i templi induisti, divisi in quadrati più piccoli riccamente decorati che accolgono e conducono il pellegrino verso il centro, il fulcro del tempio, completamente spoglio poiché rappresenta la sostanza pura, unificata, il perno attorno a cui gira l’universo manifesto e immanifesto. E che dire della base rialzata quadrata su cui sorgono gli Stupa tibetani, monumenti buddisti che simboleggiano la mente risvegliata e il suo percorso d’illuminazione. Insomma quando si usa la metafora “far quadrare il cerchio” ha molto senso, più di quello che immaginiamo.
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