Peter Paul Rubens: dalle Fiandre con amore

di Irene Niosi


Peter Paul Rubens che più di ogni altro artista ha incarnato l’anima del barocco (Siegen, 1577 – Anversa, 1640) giunge in Italia a 23 anni, alla corte di Vincenzo Gonzaga, Duca di Mantova. Caratteristiche salienti dell’arte italiana, nel secolo che si apre, sono la libertà dei temi e di moduli formali, la ricchezza di personalità e di centri attivi nei diversi ambiti nazionali. La reazione all’equilibrio statico e a una visione accentrata del mondo del Rinascimento, già in nuce nei fermenti manieristici, sta maturando. Il giovane pittore venuto dalle Fiandre, apprende l’arte dalla lezione dei nostri grandi maestri, soprattutto da Leonardo e da Michelangelo, ma anche da Caravaggio oltre che dai veneti, in particolare da Tiziano. La Galleria Borghese ancora fino al 18 febbraio con la mostra “Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma”, a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato, affronta lo straordinario contributo dell’artista fiammingo che, proprio in Italia, sperimenta una nuova concezione dell’antico e dei concetti di naturale e di imitazione. Nella sale della galleria Borghese a causa della profusione di tanti capolavori, orientarsi è difficile, il percorso espositivo della mostra pare una caccia al tesoro e si rischia di perdere di vista qualche opera del Maestro. Provenienti dai maggiori musei del mondo (Prado, Louvre, British, Alte Pinakothek di Monaco National Gallery di Washington, Philadelphia Museum of Art), i dipinti riferibili al periodo in cui Rubens si stabilisce in Italia sono purtroppo pochi. In compenso sono presenti un nutrito numero di disegni, realizzati durante il suo soggiorno a Roma che, alle soglie del Barocco è il centro artistico più importante d’Europa.

Peter Paul Rubens, Studio del Torso Belvedere (verso), 1601, gesso rosso, 39,5 x 26 cm, 1601 c., Purchase, 2001 Benefit Fund, 2002, The Metropolitan Museum of Art, New York, USA 

Attraverso lo studio dei modelli classici, che disegna forsennatamente, mette in atto quel processo di vivificazione e di animazione dell’Antico con cui anticipa elementi fondanti, ripresi da quegli artisti che nei decenni successivi al suo passaggio romano, verranno definiti barocchi. Nella disamina dei disegni esposti, eseguiti nel primo decennio del secolo, il nuovo linguaggio figurativo e iconografico introdotto dal grande fiammingo con la rilettura dell’Antico, emerge chiaramente. I suoi disegni diventano a loro volta il modello da seguire per i più grandi artisti suoi contemporanei. Quando viene rinvenuto nel 1601 all’Esquilino il mirabile affresco di età Augustea le Nozze Aldobrandini, Rubens si è da poco stabilito a Roma. Qui, nel suo percorso di formazione ha modo di ammirare molte tra le opere classiche rinvenute circa un secolo prima, come il Gruppo del Laocoonte e il Torso del Belvedere, per citare le più famose. Come le intuizioni di Rubens filtrino nel ricco e variegato mondo romano degli anni Venti del Seicento è un problema che non è stato ancora affrontato in modo sistematico. La presenza in città di pittori e scultori che si erano formati con lui ad Anversa, come Van Dyck e Georg Petel, o che erano entrati in contatto con le sue opere nel corso della formazione, come Duquesnoy e Sandrart, garantì di certo l’accessibilità dei suoi modelli a una generazione di artisti italiani ormai abituati a confrontarsi con l’Antico alla luce dei contemporanei esempi pittorici e sulla base di un rinnovato studio della Natura. Tra tutti, Gian Lorenzo Bernini: i suoi gruppi borghesiani, realizzati negli anni Venti, rileggono celebri statue antiche, come l’Apollo del Belvedere, per donare loro movimento e traducono in carne il marmo, come avviene nel Ratto di Proserpina. Alla mostra, accanto al disegno di Rubens “San Giorgio che uccide il drago” del Louvre, eseguito a Roma tra il 1606 e il 1607 – che in tanta ricchezza espositiva può passare inosservato- troviamo non a caso la scultura di Bernini raffigurante “Luigi XIV a cavallo”, databile intorno al 1669 -1670 della Galleria Borghese, dove è evidente l’influenza del maestro fiammingo.  Nel celebratissimo “studio dal Torso del Belvedere” a matita rossa nel disegno del Metropolitan Museum si riscontra il forte interesse di Rubens per le opere di Michelangelo, come si nota nel bellissimo “Studio dello Spinario”, del British Museum di Londra, che disegna a sanguigna e poi con carboncino rosso, riprendendo la posa da due punti di vista diversi.

Peter Paul Rubens, Due studi di un ragazzo tratti dallo “Spinario”, 1601 – 1602, gesso rosso su carta, 26,1 x 36 cm, British Museum, Londra 

In questo modo il disegno sembra eseguito da un modello vivente invece che da una statua, tanto da far immaginare ad alcuni studiosi che il pittore abbia utilizzato un ragazzo atteggiato come la scultura. Per l’indagine anatomica e per il moto, la sua attenzione è tutta rivolta per le opere di Leonardo, da lui scoperto ex novo nel corso di un breve soggiorno a Madrid (1603-1604) compiuto durante il suo viaggio in Italia. In Spagna Rubens ha probabilmente accesso ai disegni di Leonardo e li studia avidamente.

Peter Paul Rubens, Studio anatomico, 1600 – 1605, penna e inchiostro marrone, 27,8 x 18,6 cm, Rogers Fund, 1996, The Metropolitan Museum of Art, New York, USA

Dal Louvre proviene “Ercole combatte il leone nemeo” (1602-1605) mirabile esempio di sintesi in cui lo sforzo muscolare dell’eroe di stampo michelangiolesco si fonde perfettamente con la lezione sulla forza di Leonardo, in cui si avvertono, anticipandole, le torsioni che faranno grandi le sculture di Bernini. In questo contesto figurativo, la tempestiva circolazione di stampe, tratte da prove grafiche rubensiane, accelerò il dialogo per tutti gli anni Trenta del Seicento sollecitando operazioni editoriali come la Galleria Giustiniana, dove le statue antiche prendono ormai definitivamente vita, secondo un effetto già definito “Pigmalione” dalla critica.   Per tutto il secolo l’ascendente del grande fiammingo viene sentito ovunque il Barocco si affermava, quindi più in Italia che altrove. La sua arte vigorosa e vibrante supererà qualsiasi barriera nazionale, frutto di quel realismo che ha radici lontane nelle Fiandre, esaltato sensualmente in chiave naturalistica nell’esuberanza felice delle sue composizioni e delle sue forme, nell’interesse perenne per una resa ricca di colore, di ombre, di luce, fino alle trasparenze più atmosferiche e alle gamme più accese. Le Fiandre spagnole compresero la sua esaltazione tanto sincera ed entusiasta della vita e della religione cattolica. I Romantici lo riscopriranno nell’Ottocento e suo alunno, tra gli altri, a distanza di secoli, può considerarsi Delacroix.

Peter Paul Rubens, Agrippina e Germanico, 1614 c., olio su tavola, 66,4 x 57 cm, Andrew W. Mellon Fund, National Gallery of Washington, USA

In Copertina: Peter Paul Rubens, La morte di Adone, c. 1614, Olio su tela, 212 × 325 cm, Museo di Gerusalemme, Israele


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