LO YOGA COME PRATICA DI RISVEGLIO

di Anna Michela Borracci


La vita è ritmo. È dal riposo invernale che il seme germoglia, è dall’espiro che nasce l’inspiro e il giorno dalla notte. Per riempire, occorre prima svuotare. E allora, inizierò proprio da quella che per molti è la fine: Shavasana, la posizione del cadavere. Anni fa, la utilizzavo come tecnica di rilassamento a fine pratica. Amavo restare sulla soglia dell’inconscio, lasciando che mille colori emergessero spontaneamente da dietro le mie palpebre chiuse, trasportata passivamente dal fiume dei ricordi. Oggi mi piace interpretare Shavasana come una preparazione alla rinascita, una riattivazione profonda del senso della terra, dell’appoggio, e della centratura. Questo Asana, ho compreso nel tempo, richiede il più alto esercizio meditativo: nel massimo dell’inerzia e del rilasciamento del corpo, occorre riuscire a mantenere caldo e pulsante il fuoco della vita con l’attenzione della mente. Mentre lasciamo ogni residuo del “fuori” e ci liberiamo di ogni pensiero accessorio, osserviamo il corpo che si radica, fino a fondersi col pavimento. Emerge un senso di galleggiamento, insieme al filo del respiro, al battito del cuore, al sangue che scorre nelle vene: la nostra vita nei primi mesi di concepimento. Un enorme spazio di coscienza in cui mente e corpo si fondono. È un passaggio fondamentale, che ci aiuta a passare dall’indistinta, passiva, esternalizzata condizione in balia delle pulsioni emotive, alla presenza attiva in uno stato di immobilità che paradossalmente esprime il massimo della vita, la presenza, esserci. Lo yoga come rovesciamento di una visione ordinaria, scardinamento delle nostre rassicuranti coordinate spazio temporali e raggiungimento di una condizione di potere su noi stessi.

Yoga è risveglio dal torpore in cui siamo immersi: Vidya, visione, contro Avidya, l’attaccamento alle false conoscenze.  Nella vita di tutti i giorni, ci muoviamo senza alcuna attenzione sul corpo, in base a schemi della mente che abbiamo introiettato e che riflettono il nostro modo di essere. I nostri pensieri e le nostre azioni sono fortemente condizionati da vari fattori, come l’educazione ricevuta, l’ambiente a cui ci siamo dovuti adattare, le aspirazioni, i traumi fisici o psicologici. E se, da bambini, i nostri potenziali erano aperti a qualsiasi esperienza di gioco, da adulti li abbiamo ristretti alla nostra unica visione del mondo, finendo per impoverire il nostro universo gestuale. Abbiamo scelto di usare i nostri punti di forza, magari in eccesso, e distolto lo sguardo da ciò che non ci piaceva o sembrava non servire. Ma il corpo “non guardato” ben presto degenera, e molti pensieri della mente non riescono più a realizzarsi, rimanendo pure fantasie.

Attraverso la pratica dello Yoga, possiamo ritrovare la complicità mente/corpo andando a risvegliare il nostro potenziale perduto e imparando a muoverci con consapevolezza e con la giusta predisposizione d’animo (Prana).

Una delle principali tecniche di risveglio yogico è l’arte dello stiramento e del suo rilasciamento. Questa coppia di opposti complementari ci rieduca a una gestualità ritmica che ci nutre sia da un punto di vista organico/ fisiologico che psichico, come un continuo pompaggio che svuota, purifica, fa spazio, e poi riempie di nuova vita. Lo stiramento yogico andrà a portare nel corpo la vitalità dell’acqua e la leggerezza dell’aria. Il rilasciamento ci aiuterà invece a svuotarci e a ritrovare la pesantezza e l’appoggio. Il loro ritmo ci farà tornare elastici e duttili. Ma acquisire la capacità di attivare e rilasciare alcune parti del corpo consapevolmente, senza che altre o le stesse diventino reattive, richiede attenzione e pazienza. Ci troveremo a confrontarci di continuo con gli aspetti volontari e involontari delle nostre azioni.

Un aspetto fondamentale nel processo di rivitalizzazione dello Yoga è la ricerca del piacere. Spingere il corpo oltre le sue possibilità, infatti, o sopportare il dolore pur di mettersi e mantenere una posizione, genera un Prana distruttivo che somatizza uno schema di sofferenza e ci porta sulla difensiva. Impariamo, quindi, a fermarci un attimo prima del nostro massimo e a non avere fretta di ripartire. Più ci muoveremo lentamente, più ci gusteremo lo Zenith e il Nadir delle nostre azioni, più emergeranno gli aspetti posturali profondi e riusciremo a ricucire e reintegrare nella nostra mente i buchi della nostra coscienza.

Risvegliare vuol dire essere disposti a lasciar cadere i pregiudizi, i “si fa così”. Osserviamoci con l’occhio interno e ascoltiamoci senza giudicare. Quando riusciamo ad andare oltre la rappresentazione formale, quando impariamo a sentire e a vivere intensamente mettendoci veramente in gioco, le nostre rigidità cadono all’istante e mente e corpo ritrovano la fiducia reciproca. Yoga è Lila, gioco della vita, e Ananda, felicità. 


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