OSCAR WILDE

di Pino Ammendola


Traversando il confine con la svizzera nell’estate del 1875, Oscar Wilde alla canonica domanda del doganiere: “Ha qualcosa da dichiarare?” rispose: “Nulla, tranne il mio genio!”, ebbene, dopo questo meraviglioso spettacolo, Daniele Pecci potrebbe, a buon diritto, dire altrettanto, in quantotraduttore, regista e mattatore assoluto dello straordinario testo di John Gay: “Divagazioni e Delizie”.  La gamma di intonazioni, la mimica e oserei dire il limpido uso del ‘mestiere’, permettono a Pecci di farci riconciliare senza ombra di dubbio con il monologo, genere estremamente rischioso quando non praticato da veri funamboli della parola e del sentimento! Oltre alla scioccante somiglianza con l’iconografia del personaggio (frutto di un faticoso lavoro di mimesi e di un intelligente costume imbottito), ci sorprende il modo di raccontare e raccontarsi, raffinato e ironico ma venato da quel sarcastico rancore che sicuramente doveva ‘avvelenare’ il genio nell’ultimo periodo della sua vita o meglio del suo esilio. Tante volte ci siamo serviti dei meravigliosi calembour coniati da Oscar Wilde, dei suoi aforismi al vetriolo e sempre, sempre! ci siamo immaginati che li proferisse così, con quella voce flautata quanto sottilmente tagliente, con un’eleganza leziosa quanto provocatoria, con un sorriso beffardo quanto tragicamente malinconico, proprio l’attore sul palco.                                                                                                                      

Lo spettacolo coglie Wilde nell’ultimo anno della sua vita: uscito dal carcere ed esule in Francia, completamente in bancarotta, per cercare di tirare avanti, si esibisce in una piccola sala teatrale per dar spettacolo di sé, in una sorta di conferenza autobiografica dove mostra al pubblico il volto scandaloso del ‘mostro’ abitato da passioni impronunciabili per l’epoca. Il testo è basato totalmente su scritti di Oscar Wilde, abilmente confezionati in una sorta di stream of consciousness alla Joyce, con cui l’autore ci fa ‘viaggiare’ nella complessa vita emozionale del grande scrittore irlandese, scivolando tra vecchi ricordi, aneddoti e divertenti racconti che oserei definire i veri prodromi di quello che oggi chiamiamo humor inglese, fino a trascinarci nel buio del ‘De Profundis’, doloroso e terribile atto d’accusa contro il perbenismo borghese e l’omofobia. Scritto da John Gay negli anni ’70 e interpretato con enorme successo in tutto il mondo da Vincent Price, in Italia ha avuto due fortunate edizioni, la prima con Romolo Valli nel ’78 e la seconda con Pino Micol nel ’94, edizione in cui un giovanissimo Daniele Pecci figurava come aiuto regista. A distanza di venti anni Pecci non solo ha maturato questo difficile testo, che sotto la superfice dei gustosi aforismi, nasconde letture molto più complesse, ma ha affinato le sue doti di attore a tal punto da portare lo spettatore in confusione, tanto che difficilmente riesce a capire se i piccoli imprevisti che si verificano in scena, accadono a Oscar Wilde che recita Oscar Wilde alla fine ‘800 o a Daniele Pecci che recita Oscar Wilde ai giorni nostri, creando, come in un fantastico gioco di specchi, quell’illusione di verità che è sempre alla base del grande teatro. Le musiche originali sono di Patrizio Maria D’Artista, i costumi di Alessandro Lai, le foto di scena del grande Tommaso Le Pera. Lo spettacolo, che ci ha fatto chiudere in bellezza questo Annus horribilis, è ora in tournée in tutt’Italia distribuito da PigrecoDelta, io vi consiglio di non perderlo assolutamente, anche se doveste affrontare un dispendioso viaggio, perché come dice il poeta “Meglio vivere di rimorsi che di rimpianti!”

© Fotografie: Tommaso La Pera

mail: pinoammendola@womenlife.it