L’AMBIENTE NON VA A SCUOLA

di Madia Mauro


L’Italia, circondata per tre quarti dal Mar Mediterraneo, potrebbe svolgere un ruolo di primo piano nell’educazione ambientale e marina. Invece questa non sembra essere la priorità di chi ha stabilito le Nuove Linee Guida per l’insegnamento dell’Educazione civica, dal momento che sia l’ambiente che il mare non godono, anche quest’anno, di grande attenzione. Il tema interessa tutti poiché la nostra vita dipende strettamente dal modo in cui trattiamo le risorse presenti in natura e dalle scelte che compiamo, ma sono soprattutto le nuove generazioni a dover conoscere e approfondire la questione per essere preparate ad affrontare le sfide sempre più gravose che si presenteranno in un futuro non troppo lontano. Quello che la scuola, di ogni ordine e grado, dovrebbe fare è promuovere è la partecipazione attiva degli studenti che saranno i decisori di domani, contribuendo a fornire spunti di riflessione e stabilire una relazione emotiva che arrivi a trasformare l’idea di mare e ambiente da “spazio” a “patrimonio”.

I cambiamenti climatici sono una drammatica realtà che ci riguarda quotidianamente. La salute del Pianeta è compromessa in modo quasi irreversibile a causa della pressione sempre maggiore esercitata dall’uomo e che rischia di diventare una minaccia per gli esseri viventi. Pensiamo all’aumento preoccupante delle temperature che altera i modelli meteorologici e sconvolge il normale equilibrio degli ecosistemi o all’acidificazione degli oceani causata dall’assorbimento di anidride carbonica di origine antropica che ha modificato la composizione chimica dell’acqua, portando a un indebolimento della biodiversità, fondamentale per la vita sulla Terra.

Per educare i giovani a uno stile di vita rispettoso delle risorse soggette a esaurimento occorre introdurre negli ambienti scolastici progetti di educazione ambientale differenziati in base a età e competenze. Perché la conoscenza si traduce nel rispetto e, di conseguenza, in comportamenti più sani e sostenibili. Insegnare, per esempio, i principi dell’economia circolare, spiegare perché sia necessario l’utilizzo delle energie rinnovabili, analizzare le cause che provocano l’emergenza climatica, accrescere la consapevolezza dello stretto legame tra abitudini alimentari e aumento dell’inquinamento sono solo alcuni dei passaggi che permettono di formare cittadini consapevoli, in grado di decidere di agire per il bene della comunità.

È bene, quindi, ribadire l’importanza della centralità della persona umana, favorire una comune identità italiana, valorizzare la cultura d’impresa, l’iniziativa economica privata e l’uso etico del digitale, educare al contrasto delle mafie e di tutte le forme di criminalità, al rispetto per i beni pubblici, introdurre l’educazione stradale, promuovere la cultura del rispetto verso la donna, della salute e di corretti stili di vita.Ma nelle materie curricolari non può mancare l’ambiente e non deve mancare il mare,che è proprio il luogo in cuiha avuto origine la vita miliardi di anni fa e che – se in buona salute – la garantisce ogni giorno, producendo ossigeno e assorbendo anidride carbonica. È evidente che le nostre azioni stanno andando in una direzione sbagliata ed è qui che dovrebbe intervenire lo Stato, quindi la scuola, per creare una coscienza collettiva che possa invertire questa tendenza “suicida” che sta mettendo a rischio la nostra stessa sopravvivenza. Investire nella formazione è un’azione doverosa e la transizione ecologica, che ci viene richiesta dall’Europa e dall’Agenda 2030, deve partire proprio da una conversione culturale. Lavorare coinvolgendo emotivamente gli studenti, educandoli al rispetto per l’ambiente e il mare significa creare quella consapevolezza che è il passo necessario verso il reale cambiamento.


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