LA VEGETARIANA

di Elisabetta Marini


La Vegetariana, del premio Nobel 2024 Han Kang, è un bellissimo libro nonostante possa suscitare nel lettore sconcerto e impressioni contrastanti. Formalmente è perfetto, e la scelta stilistica di suddividerlo in 3 capitoli con voci narranti diverse è molto funzionale alla storia. Il racconto inizia con le riflessioni del marito sugli strani comportamenti della moglie Yeong-Hye. Alla sua voce fanno da contraltare i pensieri di lei che aprono una finestra su quelle che saranno in seguito le sue scelte di vita e le modifiche del suo comportamento.

Nel secondo e terzo capitolo si raccontano, in terza persona, rispettivamente i pensieri del cognato e di sua moglie In-Hye, sorella di Yeong-Hye e le loro interazioni con il suo nuovo mondo.

Quindi il personaggio principale è praticamente “muto” e questo suo mutismo è perfettamente in linea con gli sviluppi successivi della trama. Infatti, nel tempo, Yeong-Hye interrompe ogni forma di comunicazione con il mondo esterno, includendo in esso anche i suoi affetti più cari.

La suddivisione in 3 capitoli, così geometrica, scandisce periodi diversi. Tutto l’intreccio si dipana in 3 anni, orientativamente un anno a capitolo nella giusta sequenza, anche se poi, all’interno di ciascuno, vengono riportati avvenimenti precedenti o seguenti il periodo narrato. In pratica i capitoli sono una schematizzazione della trama suddivisa in premessa, evento, conseguenze.

La scrittura è perfetta: semplice, fluente, limpida, sempre puntuale. E qua e là si percepiscono usanze, abitudini comportamentali, sovrastrutture sociali proprie della Corea del Sud, che arricchiscono ulteriormente il libro, contribuendo a tenere agganciata la curiosità del lettore.

La trama suscita pensieri e sentimenti contrastanti. Ogni lettore la potrà interpretare in modo totalmente diverso, secondo la propria sensibilità ed esperienza di vita. Qualcuno avrà la sensazione di leggere un libro declinato al femminile, mentre altri vi vedranno un’esaltazione del patriarcato. Ad alcuni Yeong-hye apparirà forte e determinata ad altri vittima indifesa di un sistema più forte di lei. Altri ancora la riterranno schizofrenica mentre per altri la sua scelta sarà la dimostrazione di una forza interiore illimitata, quasi sovrumana.

A noi occidentali verrebbe da definire surreali alcuni dettagli del racconto, così lontani dal nostro mondo. Invece la nazionalità dell’autrice e la collocazione del racconto in Corea del Sud, ammanta di un possibile realismo anche lo svilupparsi del desiderio di Yeong-Hye di trasformarsi in albero. In quella cultura orientale, in cui l’impronta morale e spirituale del buddismo domina da secoli, è infatti più plausibile concepire questo desiderio. Vive in alcuni un rispetto e una comunione con la natura che noi occidentali, materialisti e prosaici, non possiamo capire. Da secoli la limitazione del cibo, il vegetarismo, il veganismo rientrano tra i precetti di molte religioni orientali per le quali il misticismo non può prescindere da una vita contemplativa e priva dei piaceri della carne, cibo in primis.

Anche l’opera d’arte concepita del cognato artista rientra in questa visione naturalistica. L’idea di dipingere di fiori tutto il corpo di Yeong-Hye esplode nella sua mente in maniera assolutamente irrazionale ma irrefrenabile, dopo aver saputo che nella natica di Yeong-Hye sopravvive ancora, eccezionalmente, una macchia mongolica (che sarebbe dovuta sparire in età infantile).

“Evocava qualcosa di antico, qualcosa di pre-evoluzionistico, o forse una traccia di fotosintesi, e con sua sorpresa si rese conto che non aveva niente di erotico; era vegetale, più che sensuale”.

Per tornare alla trama, per noi occidentali – pragmatici e consumisti – tutto in essa rasenta la follia. Ma questo semplice giudizio non basta, è limitativo. Yeong-Hye, come spiega il medico alla sorella, non ha un’anoressia scatenata da confronti conflittuali con la madre. La sua anoressia non è causata della paura di essere avvelenata. Non è una anoressia intrinseca, patologica, sostenuta da reazioni psichiche di affermazione della propria diversità o di autolesionismo. Per lei l’anoressia è un mezzo. Non si nutre in quanto aspira a lasciare il genere umano per passare al mondo vegetale. Ha il desiderio di infilare i piedi nella terra e di veder spuntare radici, rami, foglie dal proprio corpo. A Yeong-Hye piace essere ferma, immobile, a testa in giù, così da poter accogliere sulle sue superfici nude il sole, la luna, la pioggia ed essere da loro nutrita. Rifiuta l’essere carnale costretto ai vestiti, al cibo, ai riti sociali che legge come sovrastrutture in grado di ingabbiare la volontà e la libertà individuale. Il suo corpo è l’unica forma di libertà che le è rimasta.

E’ il tuo corpo, puoi trattarlo come ti pare, l’unico territorio in cui sei libera di fare come preferisci

Questo processo di metamorfosi che Yeong-Hye sapeva sarebbe stato lungo e doloroso, lo è molto di più per chi le sta accanto. Costringe la famiglia a proteggersi dalle critiche sociali, a interrogarsi sui possibili errori di educazione. Sulle sopraffazioni perpetrate da un padre violento nell’indifferenza di una famiglia distratta.

A una prima lettura superficiale potrebbe sembrare che in questa trama veramente dura, manchi qualcosa che spieghi il nesso tra Yeong-Hye e gli alberi. L’autrice ci spiega la causa primaria che la porta a rifiutare inizialmente la carne per poi spingersi nel mondo vegetariano e poi vegano. Il primo livello della sua coscienza. Ma cosa la spinge così oltre l’umano sentire? Per quale causa si priva lentamente di ogni vitalità e desiderio? Quale è il motivo per cui il suo subconscio la trascina a un livello successivo dove aspira a divenire un essere inanimato? Così si è portati a pensare che la storia, fino a quel momento, in qualche modo per noi occidentali giustificabile e plausibile, divenga improvvisamente arbitraria, e si spinga alle estreme conseguenze solo per soddisfare l’impianto della trama.

Ma non è così. Il libro fu pubblicato in Corea nel 2007 ed era rivolto a un pubblico immerso, in buona parte, nel mondo Buddista, pertanto ben conscio dello stretto legame spirituale di quella cultura con la natura e con il mondo vegetale. Solo nel 2016 conobbe fama mondiale, dopo la traduzione in inglese. E’ chiaro che per noi occidentali il mancato richiamo a questo rapporto con la natura possa provocare qualche incomprensione.

Sicuramente un libro che lascia una traccia, al termine del quale sorge il dubbio che la protagonista di questa storia non sia Yoeng-Hye con il suo mutismo ma la sua scelta di vita, intorno a cui ruota tutto il romanzo.

Nonostante la sua durezza questa opera suscita una grande quantità di interrogativi e di riflessioni e ha una perfezione tecnica e stilistica non sempre riscontrabili in libri “politicamente corretti”. Da non perdere qualunque sia il giudizio finale che ciascuno ne vorrà dare.


SCELTI PER TE

Inés dell’anima mia, di Isabel Allende, Feltrinelli Editore, 336 pagine, pubblicato nel 2021

In questo bellissimo libro Isabel Allende torna ad occuparsi del suo amato Cile e lo fa, come sempre, studiando e documentandosi in maniere coscienziosa e approfondita. Anche in questa opera la magistrale e scorrevole scrittura dell’Allende contribuisce ad impreziosire ulteriormente il romanzo, già molto ricco di notizie nonostante riguardino una storia sconosciuta ai più – compresi i Cileni.
L’eroina, Inès Suarez, è realmente esistita e nel 1540 ha partecipato, insieme al suo amante Pietro de Valdivia, alla conquista del Cile strappando il territorio ai Mapuche, tranquilla popolazione Inca, trasformata dalla violenza spagnola in accaniti guerrieri per difendere il proprio territorio dall’ingordigia dei conquistadores.
Le scarse fonti reperite sulla vita di Inés – spesso citata solo come presente ad alcuni eventi storici – permettono all’Allende di immaginare per lei, all’interno di fatti storici reali, azioni rocambolesche o gesti generosi. In definitiva un ricco e istruttivo manuale di storia in cui le parti di fantasia sono un collante che attrae maggiormente l’attenzione del lettore, colmando i vuoti lasciati dai cronisti dell’epoca sulla vita e sulla personalità di Inés.

Rais, di Simone Perotti, Edizione Sperling & Kupfer, 516 pagine, pubblicato nel 2016.

Le vite di tre giovani si intrecciano, si perdono per poi ritrovarsi in un Mediterraneo cinquecentesco dominato dai Veneziani, dai Turchi, dai pirati e dalla presenza, sullo sfondo, di personaggi storici quali Solimano il Magnifico e Andrea Doria. Libro affascinante – frutto di tanti anni di studio e di perfezionamento stilistico – in cui l’autore fonde ottimamente la parte immaginifica con quella storica e in cui, in ogni pagina, emerge l’amore per il mare e la profonda conoscenza della navigazione da parte dell’autore, grande velista e provetto skipper. 


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