LA FORMA DEL FUOCO

di Anna Michela Borracci


Migliaia di anni fa, in un periodo infausto per l’umanità, mentre nuotava placidamente nelle acque di un fiume, un pesce vene attratto da una voce melodiosa, proveniente da una grotta. Passarono dodici estati e inverni, il pesce restava lì come incantato a conoscere e sperimentare gli insegnamenti che giungevano al suo orecchio. Più ascoltava, più si inoltrava su sentieri meravigliosi e più crescevano in lui eccitazione, beatitudine e un fervente desiderio di trascendere la propria condizione. Finché, il fatto avvenne: mentre la sua coda rimaneva di pesce, dalla vita in su le sue sembianze divennero umane, emergendo dalle acque come un fiore di loto. Quelle parole così prodigiose erano di Shiva, il dio della trasformazione. Aveva trascorso diecimila anni in profonda meditazione sul monte Kailash, sua dimora divina e asse cosmico che collega i diversi mondi. E ora svelava alla sua amata sposa Parvati il frutto delle sue illuminazioni: l’arte magica dell’Hatha Yoga che porta alla realizzazione del sé e all’equilibrio tra gli elementi che costituiscono l’universo. Che fosse stato Shiva ad effettuare la metamorfosi del pesce o fossero state la sua stessa determinazione e perseveranza nell’ascoltare gli insegnamenti del dio è questione antica e irrisolta. Fatto sta che Shiva, accortosi di lui, decise che fosse giunto il momento di condividere con gli esseri umani il potere della sua arte, fino ad allora riservata agli dei, affinché potessero migliorare la propria condizione esistenziale. Fu così che Matsyendra, il pesce fatto uomo, divenne il primo yogi, con il compito di diffondere segretamente, da bocca a orecchio, da maestro a discepolo, quelle conoscenze che secoli più tardi furono raccolte nell’Hatha Yoga Padripika (XV sec.), uno dei testi più antichi, insieme alla Gheranda Samhita e agli Shiva Samitha, sulle pratiche tantriche.

La “lanterna per dissipare il buio”, questo il significato del titolo, descrive Asana, Pranayama, pratiche di purificazione interna (Shatkarma) e di risveglio della Kundalini, tecniche di concentrazione e di meditazione che conducono l’adepto alla sospensione dell’ego e al raggiungimento del Samadhi. Dalla radice “sam-” (“completo” o “totalità”) e “dhi” (“intelligenza”, “mente” o “concentrazione”). Uno stato quindi di centratura e totale equilibrio interiore.

Matsyendrasana è l’asana dedicata al potere di trasformazione della pratica yoga, ricordandoci che ciò che conta non è la forma, ma la ricerca di conoscenza e crescita interiore, sostenute dal desiderio profondo di cambiamento, da coltivare con sincerità e intenzione (e il cambiamento parte proprio dal riconoscimento e accettazione di ciò che siamo). Le gambe sono incrociate, simboleggiano la coda del pesce, l’elemento istintuale che ci lega al primo e al secondo chakra, terra e acqua (vedi articoli precedenti). Il busto è in torsione e rappresenta la parte “umana” che desidera svincolarsi dalla terra per completare la propria natura, che aspira alla conoscenza e al dominio delle cose. Come un fuoco sale verso l’alto, con una spirale che purifica lo spazio addominale, con tuti i suoi organi.

Manipura chakra rappresenta l’elemento del fuoco, è collocato nel plesso lombare, anteriormente possiamo prendere come riferimento l’ombelico, con la lordosi come tratto distintivo e centro della sfera addominale che culmina nel diaframma, principale muscolo della respirazione che avvolge l’addome e fa da trono al torace. Divenire consapevoli e guidare il respiro vuol dire entrare in contatto con il linguaggio del corpo profondo e con le proprie emozioni. Forse proprio per questo, il suo yantra è un triangolo equilatero, di color rosso, con la punta rivolta verso il basso, simbolo di integrazione tra mente e corpo e di equilibrio tra forze opposte, la cui risultante è una precisa direzione. L’animale veicolo l’ariete, simbolo di potenza, vitalità e movimento, corriere del dio Agni. Il senso corrispondente all’elemento fuoco è la vista, che attraverso gli occhi ci permette di vedere, porci obiettivi ed eccitare la nostra immaginazione; i piedi e le gambe i suoi organi di azione. Il suo moto è il movimento volontario, che si attiva attraverso alcuni tipi di fibre dei nostri muscoli. Al fuoco associamo l’inspiro, in cui il nostro sistema deve contrastare la forza di gravità per far entrare aria nei polmoni, al contrario dell’espiro che invece è, nell’ordinario, un’azione passiva di rilasciamento.

Se a livello fisiologico la potenza del fuoco stimola e regola l’attività metabolica, la digestione, la circolazione sanguigna, a livello pranico rappresenta la volontà, Iccha, intesa come desiderio di realizzazione, fondato sulla digestione dei pensieri e delle emozioni, sulla capacità di distinguere, separare per assorbire o scartare, riconoscere i bisogni reali dalle fantasie. Il fuoco purifica, illumina, scalda, ci rende vitali, eccitati, tutti elementi che ci rendono felici. Come un fulmine scende e risveglia la kundalini dormiente, portandola in alto come luce del cuore.

Sotto il segno del fuoco troviamo moltissime pratiche di purificazione degli organi addominali e di risveglio diaframmatico. Come il kriya del Cobra illustrato qui sopra in cui, per risvegliare il nostro diaframma e tutti i muscoli solidali all’inspiro, sovra eccitiamo intensamente l’espiro liberandoci da blocchi e somatizzazioni che ci avvelenano interiormente. In questo modo il fuoco, consumando le scorie del vecchio, fa posto al nuovo e come un’araba fenice risorge continuamente dalle sue ceneri.

Vedremo la prossima volta come il fuoco evolve nell’elemento aria, nello spazio del torace, per canalizzare la sua potenza, aprirsi al mondo e non rimanere prigionieri dell’ego.


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