“LA CANTATA DEI PASTORI”

di Pino Ammendola


Senza ombra di dubbio il teatro popolare è nato in Italia con la Commedia dell’Arte, diffondendosi urbi et orbi fino a diventare patrimonio immateriale dell’umanità. Fu una vera e propria rivoluzione: la risposta del popolo al paludato teatro delle corti rinascimentali, con attori che recitavano per professione e finalmente portavano in scena anche le donne. Ma nonostante questa ‘primogenitura’, nel nostro bel paese il teatro popolare pare quasi completamente estinto. Il termine quasi è reso obbligatorio dal fatto che c’è ancora un luogo dove continua vigoroso: Napoli. Lì infatti oltre alla sceneggiata, che gode di un pubblico numeroso e appassionatissimo,  esiste uno spettacolo natalizio che va in scena per le feste canoniche e registra sempre il tutto esaurito, raccogliendo gli spettatori più eterogenei che la città possa offrire: dai melomani abbonati del San Carlo, ai fanatici del teatro contemporaneo, sino al popolino più semplice che si accosta al sipario solo in quella speciale occasione e che non ha mai assistito a una rappresentazione shakespeariana né tantomeno a un Pirandello. Si tratta della “Cantata dei Pastori”. Questa sorta di musical seicentesco che fonde colto e popolare, profondo e leggero, comico e sacro e permette allo spettatore di immergersi in quel mix unico che è la napoletanità. Si tratta di una sacra rappresentazione che ritualmente, viene eseguita da secoli a Napoli dal 24 dicembre al 6 gennaio nei teatri cittadini. Andare ad assistervi rappresenta un appuntamento imperdibile per il popolo napoletano. La “Cantata”, citando Roberto De Simone, è un vero e proprio rito secolare, una Messa extra-liturgica, che affonda le sue radici nell’immaginario barocco, misterioso forziere-groviglio di miti, di splendori e di fantasmi, il tutto calato in un presente metastorico, in cui convivono il grandioso passato e l’inquietante presente della città più religiosamente pagana del pianeta! L’opera fu scritta dall’abate Andrea Perrucci nel 1698 sotto lo pseudonimo di Ruggiero Casimiro Ugone e con il titolo “Il Vero Lume tra l’Ombre, ossia La Spelonca Arricchita per la Nascita del Verbo Umanato”. Le intenzioni del povero prelato erano ‘purissime’, la sacra rappresentazione avrebbe dovuto ricordare al popolo la nascita del Cristo e la conseguente vittoria del bene sul male, per indurli a santificare la Natività nel più rigoroso spirito religioso instaurato dalla controriforma. Ma l’ingenuo abate non aveva fatto i conti con Napoli e il suo popolo. Dopo alcune repliche che ebbero buona risonanza lo spettacolo cominciò a modificarsi aggiungendo una robusta dose di ‘profano’ a tutto il ‘sacro’ contenuto. L’introduzione del personaggio di Razzullo, uno scrivano (ça va sans dire) napoletano inviato a Betlemme per il censimento, fa acquistare all’opera una straordinaria vis comica. Il popolo ne è entusiasta a tal punto da appropriarsi della rappresentazione e attivare una serie di modifiche che arriveranno a ridurre il peso scenico dei personaggi sacri. Verso la fine del ‘700 viene introdotta anche la figura di Sarchiapone, un buffissimo personaggio mutuato dalla tradizione popolare. Le messe in scena vanno avanti nel tempo con successo crescente nonostante la degenerazione dei personaggi e della vicenda stessa. Nel 1889 però le autorità decidono di interrompere la rappresentazione che per la volgarità dei contenuti non ha più nulla di sacro. Ma “La Cantata” continua a vivere, con repliche semiclandestine, talvolta anche nelle chiese, con la complicità di sacerdoti compiacenti che pur cercando di censurare i lazzi più bassi si preoccupavano di essere sinceramente vicini al popolo. Negli anni trenta del novecento “La cantata” riguadagna i teatri ufficiali, per essere poi ‘riscoperta’ e musicalmente rivitalizzata negli anni ’60, da Roberto De Simone, con la Nuova Compagnia di Canto Popolare e interpretata da Peppe e Concetta Barra, che la mettono in scena con enorme successo di pubblico. La trama dello spettacolo è molto semplice: Maria e Giuseppe si recano a Betlemme per il censimento, bersagliati, lungo il cammino, dagli attacchi dei diavoli che cercano di ostacolare la nascita del Bambino Gesù. Il viaggio dei personaggi sacri si incrocia però con le peripezie dei personaggi popolari: il buffo e ignorante barbiere Sarchiapone e lo scrivano Razzullo che si dà arie da erudito, entrambi alla ricerca disperata di sconfiggere (come il popolo) la fame che da sempre attanaglia entrambi. La storia della Divina Famiglia diventa così la rappresentazione della miseria e dell’arte di arrangiarsi di un popolo fatto di una folla di piccoli commercianti, fruttivendoli, venditori ambulanti, pescatori… che nelle peggiori difficoltà trova sempre una speranza per il domani. Nel presepe napoletano infatti l’ambientazione è ricca di botteghe che nulla rimandano della Palestina, essendo una copia di quello che il popolino vedeva rappresentato in scena nella Cantata e che era l’unica immagine mentale che poteva farsi di quel luogo così lontano, non a caso, ancora oggi, tra i ‘pastori’ di un classico presepe napoletano non mancano mai Razzullo, o’ Diavol’ e Sarchiapone! La “Cantata dei Pastori” è un’opera dal grande valore simbolico, assistervi è come compiere un rito dal sapore ancestrale, ma per sentirne tutta la potenza catartica, fatelo nei giorni ‘canonici’ e soprattutto in un teatro di Napoli. Per Natale regalatevi un viaggio nella più antica capitale d’occidente, nella città che ha inventato “il sospeso”, il caffè pagato all’estraneo che mai conoscerai, perchè nessuno si senta mai così povero da non potersi permettere un caffè.


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