INTERVISTA AL DRAMMATURGO ALBERTO BASSETTI
di Chiara Montenero
Alberto Bassetti è un drammaturgo di spicco nel panorama teatrale contemporaneo. Con una carriera che si estende per oltre tre decenni, le sue opere si caratterizzano per la profondità dei temi affrontati e per la ricchezza dei personaggi. Bassetti ha sviluppato fin da giovane una passione per il palcoscenico, portandolo a esplorare le dinamiche umane e sociali attraverso la scrittura. Le sue pièce, spesso premiate, sono un riflesso delle sfide e delle contraddizioni del nostro tempo. In questa intervista, avremo l’opportunità di scoprire il suo processo creativo, le fonti di ispirazione e le sfide che affronta nel mondo del teatro contemporaneo.
Puoi raccontarci come hai iniziato la tua carriera nel mondo del teatro? Quali sono state le tue prime esperienze?
Nell’’82, durante il servizio militare, scrissi una lettera alla rivista Linus, che era una sorta di sfogo sul mondo che mi circondava e sulla poca attenzione data ai valori importanti. Raccontavo della futilità di ciò che mi circondava e anche del servizio di leva dove venivi formato all’idea che più sei scansa fatiche e scorretto e meglio riesci ad evitare di essere coinvolto nel lavoro. All’epoca avevo ventisette anni, ero laureato in Filosofia e avevo anche fatto i tre anni di specializzazione; pertanto, sarei potuto entrare come allievo ufficiale, ma preferivo essere autonomo e anonimo. Il mio scritto venne pubblicato con il titolo di Esteriorità ed ebbe un successo incredibile ottenendo una quantità impensabile di risposte tanto che ne parlarono per due o tre numeri fino a che la direttrice della rivista, Fulvia Serra, disse che l’alternativa sarebbe stata di dedicare un’intera rivista alla posta di Bassetti o di mandare tutto al macero… e così fu. Questa esperienza mi spronò a scrivere la mia prima opera teatrale, Stato Padrone, che racconta di una rivolta all’interno di una caserma dell’aviazione, proprio com’era quella in cui io avevo vissuto la mia esperienza militare, prima da capo plotone, e poi da autista del capo caserma – che mi sfruttava notte e giorno per farsi accompagnare e godere della mia conversazione di ragazzo istruito e ben educato – che inviai al Premio Fondi La Pastora e ricevetti il primo premio. La Tana, testo molto forte anche in senso politico (e non partitico!) vinse invece nel 1990 il premio IDI-Istituto del Dramma Italiano e andò in scena al Teatro dell’Orologio di Roma ricevendo grandi riconoscimenti.
Qual è il tuo processo creativo quando scrivi una nuova testo teatrale? Hai routine o rituali particolari che segui?
Ci sono due modalità, la prima è una committenza ovvero ti chiedono di scrivere qualcosa su un determinato argomento o su di un personaggio storico. In questo caso nel 1994 Manuel Giliberti mi domandò di realizzare un testo su Federico II di Svevia in occasione degli 800 anni dalla nascita di questo grande stupor mundi e scrissi Harem,andato in scena anche recentemente al Teatro Basilica di Roma. Come solitamente faccio, ho cercato di raccontarlo in modo meno consueto: anziché far parlare di sé il protagonista, con lo scettro e con la corona, come fecero in molti, io lo narrai attraverso le voci delle donne del suo harem; l’imperatore era molto affascinato dal mondo musulmano e nel suo palazzo aveva un vero e proprio harem.
Il processo creativo è quello di studiare a fondo il personaggio e la sua storia, rifletterci molto e, come diceva Pirandello, scrivere possibilmente in una settimana, tutto quello che senti perché dopo potresti non essere più lo stesso. Io medito, rimugino, cerco ispirazioni e poi inizio a scrivere seduto al mio scrittoio, piuttosto che in autobus, in treno, in aereo, a letto o su una panchina. L’importante è avere sempre in tasca carta, matita, temperino e gomma da cancellare. Mi piace questa mia maniera un po’ promiscua perché mi fa sentire libero.
Hai collaborato con registi e attori importanti, c’è qualcuno in particolare con cui c’è stata un’intesa maggiore nella messa in scena di una tua pièce?
Nei primi anni di lavoro misi in scena con due attori esordienti come lo ero io, un piccolo spettacolo, Il Segreto della Vita, che, inaspettatamente, fu notato e vennero a vederlo al Teatro dell’Orologio, Mario Scaccia, Gigi Proietti e altri grandi nomi del teatro italiano, tra i quali il regista Antonio Calenda che mi chiese di collaborare al suo Plautus in lingua latina. Grazie a Dio, avendo fatto il classico, avevo studiato sia il greco che il latino e quindi accettai la sfida. Il testo includeva tutti i momenti topici della drammaturgia Plautina e lo spettacolo ebbe un grande successo di critica e di pubblico. La mise en scene al Teatro Valle di Roma era quella di un varietà così come gli attori: Pietro De Vico, Anna Campori, Aldo Tarantino e Dodo Gagliardi.
Come hai visto evolvere il panorama del Teatro Italiano?
Amo da sempre il Teatro e nella prefazione al mio libro La Tana, Luigi Squarzina scrisse che io stavo compiendo nel Teatro quello che i cantautori hanno fatto nella Musica, introducendo temi sociali e dibattito interiore, utilizzando un linguaggio che arriva alla gente. Nel mio testo si accennava al femminismo, al terrorismo, alla violenza, però con una struttura e un linguaggio che il pubblico poteva seguire e, soprattutto, con una sorta di attesa che riusciva a catturare l’attenzione dei presenti. Ora purtroppo il teatro è fatto, di performance, di movimento di attori, di musica improvvisa, di trovate continue. Invece, come diceva Nietzsche, partendo dal pessimismo cosmico più totale che è quello di sapere che dalla nostra nascita ci avviamo verso la morte, è proprio l’arte e l’amore per quello che è bello della vita a salvarci dall’autodistruzione. Questo per dire che a me piace tenere la tensione dello spettatore con colpi di scena intelligenti che provengono dall’interiorità dei personaggi o delle situazioni.
Ci puoi dare qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri? Stai lavorando a qualcosa di nuovo che puoi condividere con noi?
I miei testi che saranno in scena quest’anno parlano di donne. Tornerà Harem e poi a Anna K. – le donne, la passione, Un sogno a Istanbul con Maddalena Crippa per la regia di Alessio Pizzech, opera che parla di una donna serba costretta a vivere la guerra dei Balcani. La prossima estate andrà in tour un’opera sulla storia d’amore tra Achille e Patroclo e tornerà anche Le due Sorelle con Laura Lattuada.
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