DISFIDA DI BARLETTA
di Andrea La Rovere
La “Disfida di Barletta” è passata alla storia, tanto che se ne parla ancora dopo cinquecento anni e che, se vi fate un giro nel meraviglioso centro storico di Barletta, ne troverete traccia a ogni pie’ sospinto. Ma cosa successe di tanto importante quel 13 febbraio del 1503, nella piana tra Andria e Corato.
Facciamo un passo indietro.
Nel 1503, l’Italia come stato non esiste e i territori del Sud sono contesi tra Francia e Spagna. Un mese esatto prima della Disfida, dopo una serie di scaramucce dalle parti di Canosa di Puglia, gli spagnoli fanno prigionieri alcuni soldati francesi e li portano a Barletta. A testimonianza che quella volta la guerra è una specie di sport dove i maschi devono dimostrare la virilità, gli spagnoli si portano alcuni prigionieri a un banchetto e indovinate di cosa parlano?
Tenete presente che all’epoca non ci sono né il calcio e manco i SUV, il tennis figuriamoci, su quello ci si scontra solo da pochi mesi, dopo che per decenni non lo ha mai calcolato nessuno. E allora, amici e vicini, si parla di guerra, di cos’altro?
Ora, provate a chiudere un po’ di soldati in una stanza e buttare dentro concetti come “onore”, “codardia”, “sfida” e avrete fatto una frittata di quelle fatte bene. Charles La Motte, un capitano francese, si fa bello accusando i soldati italiani di avere scarso valore militare e di essere dei codardi. Si guarda bene di dire qualcosa del genere degli spagnoli, che lo tengono prigioniero.
Gli italiani non hanno voce in capitolo, ma spesso sono schierati con gli spagnoli, e così Íñigo López de Ayala, forse per difenderne l’onore, forse per passare il tempo, propone di mettere su una sfida tra tredici soldati italiani e tredici francesi. Così, per sport, ma con armi vere eh.
E così, dopo un mese di preparativi e pubblicità, la sfida si fa.
Le formazioni sono degne di un Italia-Francia del 2006. Nomi come Ettore Fieramosca, Mariano Marcio Abignente, Giovanni Capoccio da Spinazzola, Giovanni Brancaleone e nientemeno che Fanfulla da Lodi tra gli azzurri e Marc de Frigne, Sacet de Sacet e Naute de la Fraise per i transalpini. Mancano giusto Materazzi e Zidane.
Gli italiani, forse più con furbizia che tecnica, era così anche allora, vincono in modo abbastanza schiacciante. Le fonti sono un po’ confuse, ma pare che tale Claude Grajan d’Aste ci rimetta pure le penne. La vittoria è largamente celebrata a Barletta e ovunque arrivi la notizia. Noi italiani, del resto, siamo bravissimi anche in questo: fare festa quando ci sarebbe altro da preoccuparsi.
Le conseguenze storiche, dite? La fotografia migliore forse la fa un abruzzese, lo storico Nunzio Federigo Faraglia: “gli italiani si tenevano paghi e vendicati dal prospero evento di una giornata, mentre due re stranieri si contendevano la signoria d’Italia, né i tredici cavalieri militavano per la patria, anzi col loro valore affrettarono la conquista [spagnola] del Regno e la dura servitù di due secoli”.
In pratica, gli italiani si godono una vittoria inutile, ma in realtà non sono nemmeno in gioco, visto che la partita la giocano Francia e Spagna, e non lo saranno ancora per secoli.
Peggio fa il fascismo, ma su questo dubbi non ce n’erano.
Benito Mussolini, sempre a caccia di motivi per rinfocolare l’italico ardore, fa della “Disfida” un vero vanto sul versante onore, patriottismo e robe del genere. Il regime è però talmente ignorante – o forse così ritiene il popolo – da fare dell’episodio un esempio del sentimento di rivalsa verso lo straniero, senza considerare che gli italiani combattevano per gli spagnoli, proprio coloro che li avrebbero aggiogati per secoli.
E se il meccanismo della sfida lanciata durante una cena, con l’Italia Davide che blasta il Golia francese, vi fa pensare a un film con Bud Spencer, beh, non ci siete andati lontani: il film “Il soldato di ventura” del 1976 propone proprio il grande Bud nel ruolo di Fieramosca.
Una curiosità: l’idea della “disfida” piacque talmente che, qualche mese dopo, va in scena una sorta di replica, stavolta tra spagnoli e francesi. La scintilla è simile, coi francesi che mettono in dubbio il valore degli spagnoli, lo scenario quasi lo stesso. Siamo sempre a Barletta, per la fase embrionale, e tra Corato e Trani per la disfida vera e propria.
La partita si svolge il 13 settembre del 1503, stavolta con formazioni ancora più calcistiche: undici contro undici. Anche stavolta ci scappa il morto, un francese, ma peggio va ai cavalli, che anche stavolta sono quasi tutti uccisi. Lo scontro finisce praticamente in parità, visto che nessuna delle due fazioni riesce a prevalere in modo netto.
Insomma, amici, quando ci lamentiamo sempre per presunte – e spesso inesistenti – crisi di valori nel mondo d’oggi, proviamo a pensare che quella rabbia che oggi viene sublimata nello sport, all’epoca era all’origine di fatti di sangue, anche solo per svago.
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