INTERVISTA A GIUSEPPE PICCIONI
di Chiara Montenero
Piccioni è uno dei registi e sceneggiatori più importanti e apprezzati del cinema italiano contemporaneo. Con una carriera ricca di successi e riconoscimenti, ha saputo conquistare il pubblico e la critica con le sue opere che affrontano temi universali con profondità e sensibilità.
In questa intervista esploreremo il suo percorso artistico, le sue fonti d’ispirazione, le sfide affrontate durante la realizzazione dei suoi film e le sue prospettive future. Con la sua capacità di raccontare storie coinvolgenti ed emozionanti, Giuseppe Piccioni ha contribuito in modo significativo alla crescita e alla valorizzazione del cinema italiano, consolidando il suo ruolo di regista e autore di grande talento e sensibilità.
Inizierei chiedendoti del tuo nuovo progetto, so che inizierai a breve le riprese di un nuovo film…
Si tratta di un film per la Rai, scritto da Sandro Petraglia, su Giovanni Pascoli il cui titolo sarà “Zvanì”. Tratterà un periodo della vita del poeta che va dai suoi vent’anni ai quaranta, quindi da un Pascoli giovane fino alla maturità, agli anni in cui raccoglie i primi grandi consensi, ma anche in cui prendono forma le sue malinconie e le sue sofferenze. Sarà impegnativo, ma anche divertente lavorare con dei giovani attori che amo molto; il protagonista è Federico Cesari, noto per la serie televisiva “Tutto chiede salvezza”. Nel cast ci sono anche Liliana Bottone e Benedetta Porcaroli che interpreteranno le due sorelle di Pascoli.
Qual è stata la molla a intraprendere la carriera di regista e di sceneggiatore?
Io faccio parte di quella generazione sempre alla ricerca di una passione totalizzante che metteva in discussione la tendenza di quegli anni a pensare alla carriera, al denaro e a crearsi una buona posizione in società. Le scelte possibili erano ovviamente quelle riservate agli artisti e ai personaggi del mondo dello spettacolo. I miei miti erano Scorsese, Wenders così come le rock star o gli attori del grande schermo. C’era anche chi era attratto dal mondo della religione. Io, come emblema meno riuscito di quella generazione di sognatori, cercavo qualcosa di più importante della normalità del quotidiano; la ricerca del “senso della vita” era molto sentita da me e da molti miei coetanei. Inizialmente ci fu sicuramente un impegno politico, la voglia e l’illusione di cambiare il mondo, vissuta con sincera ingenuità e con slancio per cercare di migliorare come essere umano. C’era sempre l’entusiasmo che ti spingeva a leggere, a studiare, a conoscere.
Quando con gli anni si spense quel fuoco, iniziai a interessarmi al Cinema grazie anche ai miei fratelli maggiori che mi fecero conoscere attori americani dai nomi a me sconosciuti e difficili da pronunciare: Robert Mitchum, Lara Turner, Deborah Kerr, Greta Garbo. Io rimasi letteralmente affascinato dalle storie interpretate da questi grandi protagonisti del cinema americano, che fossero thriller o western o storie d’amore. Iniziai a frequentare le sale cinematografiche dove programmavano film di nuovi registi che raccontavano storie che a noi pareva ci parlassero di più di quelle del cinema italiano di allora. Il Laureato, L’uomo da marciapiede, tanto per citarne alcuni.
Da lì, molto lentamente, è iniziato il mio percorso nel mondo dello spettacolo. Ho frequentato la scuola di cinema di Renzo Rossellini, scuola della Gaumont in Italia, e quella è stata la radicalizzazione della mia scelta. Sono stati quattro anni bellissimi e Rossellini è stato molto presente alle lezioni in un periodo in cui era molto impegnato nel suo lavoro.
Ho da poco ricevuto il premio che porta il suo nome che è stato per me un grande riconoscimento.
Non ho fatto la gavetta, né corsi di regia, ma ho sempre scritto e sono io l’autore dei film che dirigo (a parte rare occasioni). Mi piace molto essere “dentro” la storia, che la mia idea del mondo che racconto sia riconoscibile dallo spettatore. Molti registi sono anche gli autori dei film che hanno diretto, vedi John Ford, Billy Wilder, Polansky, Tornatore…
Come scegli gli attori per i tuoi film?
Io raggiungo qualche certezza attraverso una catena di incertezze e quindi scelgo gli attori nel tentativo anche di aprirmi a delle curiosità: attori che conosco, ma anche con la speranza di scoprirne di nuovi durante il casting. Sono stato fortunato perché ho fatto il mio primo film con Sergio Rubini, il secondo con Margherita Buy, con la quale da quel momento è iniziata una collaborazione che dura nel tempo, e poi con Luigi Lo Cascio, Riccardo Scamarcio e molti altri nomi noti del cinema italiano.
Qual è il film a cui sei più “affezionato” tra quelli che hai diretto?
Sono tanti i film a cui sono legato, ma penso che la mia filmografia si sia definita in maniera più consapevole da Fuori del mondo in poi. La luce dei miei occhi, La vita che vorrei, Il rosso e il blu, Questi giorni e L’ombra del giorno, sono tutti legittimati a far parte dei miei ricordi migliori.
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