INTERVISTA A FLAVIO MISCIATTELLI

di Irene Niosi
Sarà il Presidente della Fondazione Cerere, Flavio Misciattelli, a raccontarci la storia dell’ex Pastificio, la sua trasformazione, le attività e le vicende che ruotano intorno al palazzo situato nel popolare quartiere di San Lorenzo che si presenta come un laboratorio di eventi, una fabbrica di pensiero e creazione. Il palazzo mantiene ancora l’aspetto industriale per cui era stato costruito, era una fabbrica dove si produceva farina e pasta. Oggi è sede dell’omonima Fondazione che nel 2024 ha celebrato venti anni di attività legate all’arte contemporanea.
Partiamo da colei grazie alla quale è iniziata questa affascinante storia di famiglia, Felicina Ceci, quando iniziò ad affittare gli spazi ormai dismessi del pastificio ad artisti allora sconosciuti.
La sorella della mia bisnonna Felicina Ceci era un’imprenditrice e costruttrice, gestiva lei il pastificio nel palazzo di famiglia a San Lorenzo che agli inizi del Novecento era periferia. Negli anni Cinquanta la linea di produzione era ormai obsoleta e andava cambiata, ma si decise di vendere la quota di pasta a una fabbrica fuori il raccordo anulare e perciò si cominciò a pensare come riutilizzare gli spazi. La mia prozia chiese consiglio a Balla che era amico suo e di suo marito, se poteva essere una buona idea coinvolgere dei giovani artisti e lui dette parere positivo. Fu così che si prese la decisione di dismettere anche il mulino e la semoleria. Roma dobbiamo pensare che tra gli anni Sessanta e Settanta era cresciuta a dismisura, il quartiere non era più considerato periferia. Negli anni Settanta una parte del pastificio venne affittata a giovani artisti allora sconosciuti.
La storia dell’Ex Pastificio ai suoi esordi è in parte la storia di un gruppo di artisti, accomunati dagli stessi interessi, dalla condivisione e appartenenza nello stesso luogo di lavoro. Il binomio tra il palazzo e il quartiere si rivela vincente e resta alla base del successo raggiunto. Nessuno avrebbe scommesso che un quartiere così popolare avrebbe dato impulso all’arte contemporanea prima romana, poi nazionale e internazionale. Come si spiega?
Bisogna pensare che quando è nata la scuola di San Lorenzo, tutto il mondo dell’arte contemporanea già nel Sessanta gravitava su Roma, a cominciare da Cy Twombly che nella capitale ci viveva e che tutti gli americani, i più importanti, avevano ricominciato a fare il Grand Tour, la capitale non era proprio a digiuno di arte. Erano i tempi in cui gli artisti Giosetta Fioroni, Tano Festa, Franco Angeli, Mario Schifano si ritrovavano al caffè Rosati a piazza del Popolo dove aveva sede la galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis e dove nacque la Scuola di Piazza del Popolo, il pastificio nasce da una sua costola. Il dato importante che caratterizza le vicende successive è il ritorno alla pittura, come documenta la mostra del 1984 “Les Ateliers” che ebbe un grande successo organizzata nel pastificio da Achille Bonito Oliva.
E arriviamo ad oggi: la mostra “Angels” da poco terminata, nata per festeggiare i venti anni della Fondazione ha offerto uno spaccato di storia dell’ex pastificio dei suoi primi 50 anni. Quali sono le suggestioni che ha provato?
Ho cominciato ad interessarmi all’arte contemporanea negli anni Novanta come collezionista, la mostra mi ha fatto ricordare i miei primi passi, penso a Gian Enzo Sperone, ero amico del figlio, se ho questa passione è anche per merito loro. Tutti gli artisti presenti in mostra rappresentano molto in termini di condivisione e di crescita personale sia per loro che per me, per esempio con i giovani artisti residenti c’è stato un forte legame e c’è tuttora. Molti di essi sono diventati artisti affermati, a livello internazionale, il pastificio è il filo conduttore che ci accompagna in tutti questi anni e spero che ci accompagnerà anche in futuro.
Il nuovo secolo segna un cambiamento per l’arte contemporanea: nel 2004 quando nasce il pastificio sotto la sua guida, il Macro ha da poco aperto i battenti scegliendo uno spazio di archeologia industriale e nel 2010 vedrà la luce il Maxxi. Si prefigura una vasta offerta a Roma, due istituzioni pubbliche, più la sua privata, oltre all’apertura di gallerie internazionali, un gran fermento per la capitale, ma le cose non sono andate come si sperava, fatta salva la sua fondazione. Non le chiedo il bilancio di questi 20 anni di attività ma la ricetta segreta.
Diciamo che sono stati anni turbolenti, il mondo è cambiato da quando abbiamo inaugurato, oggi perciò anche le istituzioni hanno dovuto ripensare alla loro mission, noi essendo un’attività privata l’abbiamo ripensata più velocemente, ad esempio quando nel 2008 c’è stata la crisi spaventosa a seguito del crollo della Lehman Brothers una crisi che ha colpito le aziende private come la nostra che fino a quel momento avevamo solo sponsor privati. Abbiamo capito che dovevamo cambiare e abbiamo istituito un ufficio che ancora è super produttivo attraverso cui noi partecipiamo a molti bandi durante l’anno per fare fundraising. Quindi le nostre mostre sono a costo zero. Ogni anno presentiamo dei progetti, in media concorriamo a cinque bandi e due o tre li vinciamo sempre. Questo è stato il nostro segreto di longevità fin dal 2010, ce la siamo cavata anche perché essendo più snelli come struttura e più veloci nel poter cambiare, ci siamo riprogrammati in questo modo. La fortuna è stata avere in mano un’istituzione senza scopo di lucro che poteva partecipare ai bandi.
Alla base del vostro programma, attività come la promozione e la formazione dell’arte contemporanea, lo sviluppo di rapporti con enti privati e pubblici, sono la dimostrazione che la vitalità di questo edificio, in un divenire continuo, mantiene un equilibrio con le dinamiche culturali della capitale questa è la linea che continuerete a perseguire?
Ora che abbiamo degli spazi nuovi ci siamo dati una nuova mission, quella di poter perseverare su tanti tipi di mostre, lavoriamo molto sia con le Accademie che con altre Fondazioni e non soltanto nei nostri spazi. Per esempio per il prossimo anno stiamo lavorando a un progetto bellissimo assieme a un’altra fondazione dove faremo dei workshop in un carcere femminile. Noi su Roma a questo punto abbiamo la possibilità di fare anche dell’arte pubblica, l’abbiamo fatta a Pomezia, a Todi, abbiamo sempre cercato di creare delle sinergie tra noi e i comuni in cui siamo andati oppure noi insieme ad altre associazioni con le quali abbiamo rapporti di collaborazione molto buoni come per esempio con la SA.LA.V un’associazione che sta a san Lorenzo. Trovo che la forza sia nel cercare di avere sempre sinergie con altre istituzioni. Questo ci permette di stare al passo coi tempi e al corrente di quello che succede in città e non solo.
Dopo la nascita della Fondazione, nel 2006 a Roma si è tenuta presso l’Accademia di Francia una mostra dedicata, ai primi artisti (N d R Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Pizzi Cannella, Marco Tirelli) che s’insediarono nel palazzo, appartenenti alla cosiddetta scuola di San Lorenzo, definizione non appropriata data la loro evidente eterogeneità, questo evento ha segnato una buona partenza. Al pastificio ha dato visibilità?
In realtà non siamo stati noi i promotori, io per parte mia ho prestato alcune mie opere come collezionista, con Graziella Lonardi, la curatrice della mostra, proprio in quel periodo avevamo un rapporto di collaborazione. Abbiamo però mantenuto per dieci anni rapporti diretti con i vari artisti del gruppo a cui ogni anno abbiamo dedicato una mostra.
Quindi è stata soprattutto l’atmosfera di vivacità e innovazione culturale che il Pastificio ha prodotto in questi ultimi venti anni a creare un impatto forte sull’intero territorio di San Lorenzo tanto da far assurgere un quartiere popolare a distretto artistico di Roma, una vera e propria colonizzazione artistica.
Si, sicuramente! Tutto è partito dai primi sei artisti che hanno creato questa sinergia nel pastificio che era il contenitore, il luogo di lavoro in cui s’incontravano e avevano un confronto quotidiano, noi come istituzione abbiamo cominciato a lavorare sul territorio e questo ha permesso che il palazzo uscisse fuori dai loro studi, in pratica noi abbiamo fatto quel passo che gli artisti non avrebbero mai potuto fare.
Nel corso degli anni aprirono all’interno del pastificio varie e differenti attività che hanno contribuito a consolidare l’importanza di questo luogo nell’ambito della vita culturale della capitale. Mi riferisco al Centro di cultura Ausoni, all’Associazione Studio Aperto, allo Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande. Di questi primi venti anni di attività ha qualche rimpianto? per esempio di non aver dato spazio a un evento o a un artista in particolare?
Nessun rimpianto, solo bellissimi ricordi. Abbiamo fatto quello che potevamo fare, eravamo giovani, abbiamo portato avanti un programma di qualità molto serio e di questo sono particolarmente contento, non ci siamo mai abbassati alle volontà di mercato, non abbiamo mai fatto mostre a cui non eravamo interessati, né mai fatto compromessi per soldi, per questo motivo siamo tenuti in considerazione. Sono stati anni bellissimi, la mostra “Angels” ha ricostruito i momenti salienti e i suoi personaggi che hanno contribuitoalla crescita del pastificio in termini di offerta culturale. Tanti gli omaggi a loro dedicati, ad esempio per ricordare Pino Casagrande un grandissimo amico oltre che un grande gallerista, abbiamo esposto un’opera di Flavio Favelli, uno degli artisti della sua galleria.
Qualche anticipazione sui prossimi progetti in programma.
Abbiamo da poco inaugurato la mostra dell’artista Giuseppe Termini “La promessa del vuoto” che resterà aperta fino al 15 marzo prossimo.
Chiudiamo in bellezza, con le attività della Fondazione Chigi Zondadari nel palazzo di famiglia a piazza del Campo a Siena. Per lei il mecenatismo è di casa.
Il progetto della Fondazione Chigi Zondadari è un po’ diverso da quello del pastificio. Nasce da una collezione permanente di arte antica di proprietà della mia famiglia. Per molto tempo non ho avuto il coraggio di occuparmene perché non avevo abbastanza esperienza e non volevo far danni. All’inizio la fondazione è partita con il far dialogare le opere della collezione di dipinti antichi invitando ogni anno un artista di arte contemporanea. Siamo partiti con Pietro Ruffo, l’anno dopo è venuto Paolo W. Tamburella. Poi nel 2022 abbiamo deciso di rendere questo appuntamento ancora più internazionale e in collaborazione con la Galleria Continua abbiamo inaugurato la mostra dell’artista ucraina Zhanna Kadyrova. Oggi andiamo avanti col progetto “Cortemporanea”: Gli artisti sono invitati a creare un’installazione per il cortile. In programma abbiamo l’artista sudafricana Bianca Bondi, ora in residenza a Villa Medici a Roma, che presenterà un’installazione site specific nel cortile. Il progetto però non si ferma al cortile, è previsto che gli artisti invitati possano entrare anche dentro il palazzo e ovviamente tutti gli artisti vogliono entrare.

mail: ireneniosi@womenlife.it