IL BAMBINO E LE ISOLE (UN SOGNO DI CALVINO)

di Elisabetta Marini


Pur vivendo da molti anni in Olanda, Marino Magliani non si è mai sentimentalmente distaccato dalla sua amata Liguria che continua a celebrare in romanzi e racconti.
Questa ultima bella e onirica opera va considerata quasi la summa delle celebrazioni dedicate alla sua terra. In essa esalta la bellezza della natura ligure – che descrive con parole sempre nuove e insolite sia che si riferisca a scorci marini che agricoli; cita l’unicità della sua fauna – vari personaggi cercano la mitica lucertola ocellata, un grande rettile che vive solo in quel territorio; elogia la generosità della gente – così prodiga ad accogliere e nutrire i viandanti; omaggia il genio dei suoi figli famosi ed estrosi, come Carlo Levi e Italo Calvino (quasi un obbligo da parte di un estimatore nell’anno del centenario della nascita del romanziere); si appropria delle celebrità che hanno frequentato quelle sponde – la storia si dipana a partire da un incontro immaginario tra il filosofo Walter Benjamin (ebreo errante) e Italo Calvino, entrambi presenti nel 1935 a Sanremo. Ma soprattutto riprende l’essenza de “Il Barone Rampante” di Calvino trattando in maniera altrettanto immaginifica gli impulsi di ricerca dell’indipendenza e dell’autonomia presenti nell’adolescenza come nella senescenza. Ma questo romanzo è anche una sfida. Magliani si propone di narrare la Liguria trascurandone volutamente la verticalità – inevitabile in una terra dove la stessa orografia costringe a inserire nel racconto vette, rilievi, coste scoscese e precipizi – per privilegiarne la dimensione orizzontale.

E cosa più “della orizzontalità minerale ferroviaria” può descrivere il territorio ligure dove la ferrovia corre sempre a pochi metri dal mare, bucando promontori e colline e violando con ponti lo spazio aereo sopra le baie e le gole?

L’autore confessa che l’idea di questo libro è nata leggendo una intervista al sanremese Duilio Cossu, amico d’infanzia di Calvino. Nell’intervista Cossu raccontava di un’idea mai sviluppata da Calvino: narrare il viaggio di un bambino che giocando nei carruggi, per errore, lancia il pallone tra i binari. Per non disobbedire ai divieti materni, decide di incamminarsi verso la loro fine pur di non attraversarli. Un viaggio che durerà una vita intera.

Il bambino senza nome, nella parte iniziale del libro – certamente la meno appassionante e anche un poco lenta – si confonde e si mescola con Calvino. Magliani affronta il tema ben noto della fuga giovanile, del vagabondaggio, del desiderio di esplorazione del mondo in totale autonomia – propria di tanti bambini – sdoppiando il personaggio. Da una parte descrive la tenacia con cui porta avanti la propria idea di recupero del pallone e dall’altro, con toccanti e struggenti ricordi e invocazioni notturne alla mamma, ne esalta il bisogno di amore e di certezze.
Nel progredire della lettura i ruoli si definiscono e l’uomo dei binari assume una sua meravigliosa fisionomia. Il suo viaggio diventa un “flanerismo ferroviario“. I binari, le stazioni, i luoghi scorrono sotto i suoi e i nostri occhi sempre con immagini, descrizioni e parole nuove. Conta il passare del tempo in base alle uscite annuali dei libri di Calvino, che legge nelle biblioteche delle città della Riviera di levante in cui giunge camminando lungo i binari o valicando le colline, perché le gallerie troppo lunghe lo impauriscono. Ripartisce il tempo tra prima e dopo gli occhiali da lettura che riceve in dono da un traduttore che lo vorrebbe fermare, offrendogli un lavoro e un luogo dove abitare. Impara a nuotare grazie a Carlo Levi che gli insegna a disegnare isole anche quando sono promontori che particolari condizioni di luce rendono sperduti nel mare, ingannando l’occhio. Cammina ossessivamente verso levante ma, raggiunta la Toscana, non apprezza né il mutare del territorio né la differenza di costume e di abitudini delle persone che incontra, e decide di tornare indietro. Tanto ormai Calvino è morto e il cammino verso est non ha più un senso “i sogni non si dovrebbero realizzare mai, pensò, altrimenti uno li perde”
In breve un meraviglioso viaggio onirico, dove i rapporti umani, la quotidianità, il cammino sia in montagna che lungo i binari, l’arrivo nelle varie stazioni, scorrono con serenità e leggerezza, senza mai un accenno di violenza, di noia o di umiliazione. Perché l’uomo dei binari non è un barbone fastidioso. Ha una sua dignità, una sua cultura, una sua igiene. Pone domande ficcanti agli sconosciuti che amabilmente si fermano a conversare con lui o vorrebbero aiutarlo.
Ma il vero pregio di questo libro, soprattutto nella seconda metà, sta nella scrittura: accurata, originale, evocativa, spesso sorprendente. “assorbita dal vetro, da un po’ di tempo la luce penetrava lo scompartimento partendo da un rimbalzo sulla pelle del mare”.

Una scrittura sempre sognante e diversa. Magliani riesce a tenere il lettore incantato per oltre duecento pagine narrando solo il cammino dell’uomo dei binari. Non ha bisogno di aggiungere azioni, colpi di scena o flash back. Basta la sua scrittura a rendere avvincente il testo descrivendo, con parole sempre diverse, paesaggi marini, ferroviari e collinari. Un linguaggio che incanta e appassiona. Frutto sicuramente di profonde riflessioni ed elaborazioni. Un’opera sognante sia nel contenuto che nella forma.


SCELTI PER TE

Elisabeth Finch, di Julian Barnes, ed. Einaudi, 185 pagine, pubblicato nel 2024.

In questo bellissimo e prezioso libro, Julian Barnes ci offre una occasione di riflessione e di approfondimento di temi filosofici, morali e religiosi che troppo spesso siamo portati a trascurare. Un libro complesso, difficile da leggere, ma contemporaneamente molto stimolante. Idealmente è diviso in tre parti. Nella prima – con un forte taglio filosofico – attraverso aforismi, domande e temi affrontati dalla prof.ssa Elisabeth Finch nel corso delle sue lezioni, Barnes costringe il lettore – quasi fosse uno studente – a meditare e a elaborare pensieri. La seconda parte, invece, è un ricco e approfondito saggio sull’imperatore Giuliano (ultimo imperatore non cristiano) definito l’Apostata per aver cercato di ripristinare il politeismo nell’Impero Romano d’Occidente. Una trattato attraverso cui apprendere informazioni storiche, che – probabilmente – molti lettori ignorano. Nella terza, la parte immaginifica, le due figure di Elisabeth Finch e di Giuliano si avvicinano e si fondono. Si scopre a questo punto che i capitoli precedenti, apparentemente non coerenti tra loro, erano propedeutici alla parte finale del libro, che così diventa armonico.

Ninna nanna delle mosche, di Alessio Arena, ed. Fandango libri, 256 pagine, pubblicato nel 2021.

Una doppia storia d’amore vissuta tra il paese di Palmira e il Cile dove molti contadini lucani migravano per lavorare, in condizioni prossime alla pura sopravvivenza, nelle miniere di salnitro nel deserto dell’Atacama. La storia, che prende spunto da situazioni in parte vere, si svolge negli anni venti del secolo scorso e rappresenta – in modo molto convincente – la misera situazione sociale in cui versava, di qua e di là dell’oceano, una popolazione impreparata culturalmente e per questo soggetta, a causa di superstizioni e di tradizioni ancestrali, a vivere terribili sopraffazioni e violenze.


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