CARLA ACCARDI – LA SIGNORA DELL’ASTRATTO
di Irene Niosi
Dopo aver illustrato la personalità di Artemisia, non è un caso se rendo omaggio a Carla Accardi (Trapani 1924- Roma 2014) altra originalissima figura di artista, le cui idee sarebbero piaciute molto alla sua collega antenata per il suo attivismo femminista, in cui si adoprò per liberare le donne da certi pregiudizi di genere che perduravano anche nel mondo dell’arte. È impressionante l’idea che nel ventesimo secolo per il fatto di essere femmine, le pittrici non avevano ancora il diritto di essere libere di realizzare opere di forte impatto come i colleghi maschi ma dovevano attenersi a dipingere solo soggetti delicati.
Quando la giovane artista siciliana si trasferisce a Roma nel 1947, dopo gli studi all’Accademia di Palermo e a quella di Firenze, si sta formando una nuova coscienza artistica che darà una svolta di fondamentale importanza per quel che riguarda il concetto di forma e contenuto. Burri e Fontana sono gli artefici di questo radicale cambiamento mentre un altro segnale di rinnovamento arriva dall’improvvisa inversione di rotta di Capogrossi che abbandona il figurativo per l’astratto e che, grazie a quell’inconfondibile e unico segno riprodotto all’infinito, spianerà più avanti la strada alla nascita dell’informale. In questo contesto ricco di sollecitazioni, Accardi si trasferisce a Roma insieme a Antonio Sanfilippo che sposerà nel 1949, ed entra in contatto con gli artisti che si ritrovavano nello studio di Guttuso e che saranno per lei, unica donna a farne parte, i suoi compagni di avventura di “Forma1”, il gruppo a cui aderiscono Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli, Giulio Turcato e Antonio Sanfilippo, convinti assertori che il significato fondamentale dell’arte doveva basarsi sul concetto di forma e segno e che l’arte doveva essere totalmente svincolata da accezioni allegoriche o psicologiche. Fedele a questo dettame, nel 1948 realizza il suo primo dipinto astratto “Scomposizioni” in cui disegna triangoli che s’incrociano. La geometria viene presa come punto di partenza dell’astrattismo ed “è da considerare di per sé un’opera astratta” come dichiara lei stessa. Agli artisti di “Forma1” venne assegnato il difficile compito di trovare un equilibrio tra forma e segno e ben presto si resero conto che non tutte le opere del collettivo si potevano definire astratte, al contrario, alcune rimanevano in bilico tra l’astrattismo e il realismo perché gli oggetti trattati venivano rappresentati nella loro reale natura. Il gruppo prese strade diverse e si sciolse nel 1951, alcuni artisti tornarono al figurativo, mentre Accardi decise di continuare il suo percorso nel neonato astrattismo italiano. Nei suoi primi esordi astratti le sue opere contengono un rigore geometrico che è modulato da colori brillanti, successivamente scarta il colore realizzando tele monocrome a contrasto col bianco e col nero. Più avanti spiegherà il motivo di questa scelta: “Rovesciai il classico nero su bianco in favore di un bianco sul nero, in modo che non vi fosse il pericolo di confonderlo con la scrittura, il segno a galleggiare sulla superficie della tela.” “Un’istanza di antipittura” come ebbe a definirla più tardi. “Non volli usare l’olio, le sfumature, niente di tradizionale.”
Le opere che realizza negli anni ’50 si avvicinano al concretismo, sono infatti ordinate secondo uno schema geometrico dove forme, linee e colori vengono ridotti all’essenziale e non rappresentano un’astrazione della realtà, sono semplici segni e tali restano perché non contengono nessun messaggio particolare. Dalla fine degli anni ’50 partecipa alle rassegne collettive sull’astrattismo italiano promosse dall’Art Club; sono da ricordare la mostra “Arte d’Oggi” di Palazzo Strozzi a Firenze e quella a Roma alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna dal titolo “Arte astratta e concreta in Italia” dove viene pubblicato anche il catalogo, segno dei tempi che stanno cambiando. Seguono altre rappresentative esposizioni a Roma “L’Arte astratta in Italia” alla Galleria di Roma, a Venezia alla XXIV Biennale di Venezia, finché nel 1950 la Galleria Age d’Or di Roma le dedica la sua prima personale.
Nel 1955 mentre la sua ricerca resta incentrata sulla riduzione cromatica e segnica presenta le sue opere alla Galleria San Marco di Roma e nello stesso anno viene invitata dal critico Michel Tapiè a partecipare alla rassegna internazionale “Individualità d’oggi” a Roma presso la Galleria Spazio e a Parigi alla Galerie Rive Droite. Col grande promotore dell’arte informale, Accardi aprirà un sodalizio con il quale realizzerà diverse mostre dominando la scena artistica sia in Italia che all’estero dove verrà riconosciuta come la prima donna astrattista italiana. Gli anni ’60 sono segnati da una puntigliosa quanto inarrestabile sperimentazione in cui dà vita a nuovi codici espressivi concentrando sempre più l’attenzione sulla morfologia del segno che s’impone prepotentemente sulla tela. I dipinti ritrovano l’impasto di colori vibranti bagnati da sottili contrasti cromatici sovrapposti che danno vigore alla composizione aumentandone la luce.E dopo tante sperimentazioni per trovare altri codici linguistici arriva a creare il famoso “nugolo” un insieme di segni allacciati e declinati in paradigmi compositivi che si evolvono in una direzione sempre più semplificata. Il segno diviene la cifra stilistica di Accardi, segno che nonostante il processo d’infinite declinazioni a cui è sottoposto, mantiene integra una sua peculiare purezza che non vuole descrivere e non sottostà a nessuna regola logica perché è frutto della mente e dunque è astratto.
La maturazione artistica di Accardi, prosegue la sua ricerca attraverso l’impiego di nuovi materiali. Sul finire degli anni ’60 abbandona la tela per il sicofoil, materiale plastico innovativo su cui dipinge le caratteristiche virgole “a coda di rondine.”Nello stesso periodo realizza, con la stessa tecnica, installazioni ambientali, come la celebre “Triplice tenda” del 1969-71 e in questo bisogno di appropriarsi di nuovi mezzi espressivi si ritrova a dipingere oltre lo spazio della superficie che sarà poi molto apprezzato e ripreso dagli esponenti dell’arte povera. Nel 1974 la Galleria Editalia di Roma le dedica una mostra in cui tornerà a dipingere composizioni geometriche su grandi tele e a cui darà il nome di “Lenzuoli”. Come tanti artisti negli anni ’70 si ritrova nel dilemma di allontanarsi dalla pittura o di relegarla al solo telaio dipinto mentre dagli anni ’80 in poi riparerà il torto fatto alla pittura, tornando a dipingere opere dalle linee geometriche dai colori accesi e vibranti di luce che ricordano e omaggiano i suoi primi anni romani, con l’unica differenza che segno e forma non prevalgono l’uno sull’altra.
Le sue opere sono oggi esposte nei più importanti musei e collezioni italiane. Il Macro di Roma ne possiede un bel nutrito numero. Altre sue opere sono presenti alla Fondazione Prada di Milano, in Piemonte al Castello di Rivoli e in altri importanti spazi museali come il Museo di Arte Contemporanea di Trento. All’estero ha l’onore di essere presente al Guggenheim Museum di New York. La sua poetica per tutta la vita resterà saldamente legata a tre elementi segno, colore e forma e la sua arte vivace e originalissima è ancora oggi di esempio per gli artisti delle nuove generazioni. Per tutto l’arco della sua lunga carriera la “signora dell’astratto” persegue la sua grande dedizione a sperimentare la luce e il colore, la forma e il segno lasciando la sua testimonianza che sta tutta in questa frase: “Prima commuovere e poi far capire” come racconterà in una famosa intervista del 2004.