QUASIMODO

di Andrea Simi
Quando Salvatore Quasimodo, da oscuro geometra del genio civile, si era ormai affermato come un notissimo poeta italiano, l’attribuzione del premio Nobel per la letteratura, nel 1959, suscitò molte invidie e critiche.
Nell’ambiente letterario italiano c’era chi masticava amaro e molti ritenevano il riconoscimento immeritato, soprattutto a confronto con il valore di Ungaretti e di Montale (Ungaretti non ottenne mai il Nobel e Montale lo conseguì solo nel 1975). I due sommi, peraltro, non mancarono di dire la loro, ciascuno secondo il proprio carattere: il sanguigno e vulcanico Ungaretti, in un’intervista, si fece scappare un giudizio feroce definendo Quasimodo “un imbroglione sostenuto dall’Accademia delle Scienze di Svezia”; Montale, più pacato ma tagliente, disse dal canto suo “C’è modo e quasi modo di fare poesia”. Oriana Fallaci, Emilio Cecchi e altri ancora ci misero del loro.
Quasimodo, oltre che grande poeta, è stato grandissimo traduttore. La sua antologia dei lirici greci resta una pietra miliare, benché abbia fatto storcere il naso a molti filologi “laureati”.
Personalmente mi sfugge la ragione di tanta ostilità. Al di là delle possibili, e anche legittime, critiche che si possono muovere a Quasimodo per l’evidente sovrapporsi del traduttore all’oggetto della sua opera (ma questo è in qualche misura inevitabile), nel lavoro del poeta siciliano vibrano corde e risuona una melodia molto simile a quella dei poeti antichi.
Qui di seguito leggiamo la traduzione di due celebri frammenti di Ibico, che di Quasimodo, 2500 anni prima, fu quasi conterraneo e poi due brevi poesie del periodo ermetico: “Antico inverno” e “Ora che sale il giorno”.
Come il vento del nord
A primavera, quando
l’acqua dei fiumi deriva nelle gore
e lungo l’orto sacro delle vergini
ai meli cidonii apre il fiore,
ed altro fiore assale i tralci della vite
nel buio delle foglie;
in me Eros,
che mai alcuna età mi rasserena,
come il vento del nord rosso di fulmini,
rapido muove: così torbido
spietato arso di demenza,
custodisce tenace nella mente
tutte le voglie che avevo da ragazzo.
Nuovamente Eros
Nuovamente Eros,
di sotto alle palpebre, languido,
mi guarda coi suoi occhi di mare;
con oscure dolcezze
mi spinge nelle reti di Cipride
inestricabili.
Ora io trepido quando si avvicina,
come cavallo che, uso alle vittorie,
a tarda giovinezza, contro voglia,
fra carri veloci torna a gara.
Antico inverno
Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma:
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po’ di sole, una raggera d’angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d’aria al mattino.
Ora che sale il giorno
Finita è la notte e la luna
si scioglie lenta nel sereno,
tramonta nei canali.
È così vivo settembre in questa terra
di pianura, i prati sono verdi
come nelle valli del sud a primavera.
Ho lasciato i compagni,
ho nascosto il cuore dentro le vecchi mura,
per restare solo a ricordarti.
Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre batte il piede dei cavalli!
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