KAVAFIS
di Andrea Simi
Tre celebri poesie di Konstantinos Kavafis.
Kavafis è doppiamente alessandrino. Come poeta perché degli alessandrini coltiva la studiata eleganza e il disincanto, il cosmopolitismo e la sensualità, e di fatto, in quanto ad Alessandria d’Egitto è nato, ha vissuto gran parte della sua vita ed è morto, a settant’anni, nel 1933.
Nella prima poesia, “Candele”, ci parla del tempo inesorabile, un tema pessimistico, caro ai poeti di ogni era, da Mimnermo a Leopardi. E lo fa con una sorta di rassegnata leggerezza. La traduzione è di Filippo Maria Pontani.
La seconda, “Itaca,” pure tradotta da Pontani, propone il tema della vita come viaggio: la meta ne è l’occasione, non il fine. Leopardi, ne “Il sabato del villaggio”, indugia sullo stesso tema, ma con accenti profondamente diversi: mentre sul “garzoncello scherzoso” gravano come ombre le inquietudini del futuro, il viaggiatore di Kavafis, “reduce, così saggio così esperto” accetta serenamente il compimento del suo percorso esistenziale.
Infine la terza, “I barbari” – ma il titolo originale sarebbe, letteralmente, “Aspettando i barbari” – viene qui riproposta nella bella traduzione di Montale, molto libera, nella quale si coglie appieno il disincanto e l’ironia che hanno animato la scrittura di Kavafis. L’evento salvifico atteso invano è un tema che tornerà più volte nella letteratura moderna, da Beckett (Aspettando Godot) a Buzzati (Il deserto dei tartari).
Candele
Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese
dorate, calde, e vivide.
Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente:
le più vicine dànno fumo ancora,
fredde, disfatte, e storte.
Non le voglio vedere: m’accora il loro aspetto,
la memoria m’accora del loro antico lume.
E guardo avanti le candele accese.
Non mi voglio voltare, ch’io non scorga, in un brivido,
come s’allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente.
Itaca
Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi
o Poseidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto e squisita
è l’emozione che ci tocca il cuore
e il corpo. Né Lestrigoni o Ciclopi
né Poseidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.
Fa voti che ti sia lunga la via.
E siano tanti i mattini d’estate
che ti vedano entrare (e con che gioia
allegra) in porti sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori dei Fenici
per acquistare bella mercanzia,
madrepore e coralli, ebani e ambre,
voluttuosi aromi d’ogni sorta,
quanti più puoi voluttuosi aromi.
Recati in molte città dell’Egitto,
a imparare dai sapienti.
Itaca tieni sempre nella mente.
La tua sorte ti segna a quell’approdo.
Ma non precipitare il tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni, che vecchio
tu finalmente attracchi all’isoletta,
ricco di quanto guadagnasti in via,
senza aspettare che ti dia ricchezze.
Itaca t’ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti più.
E se la ritrovi povera, Itaca non t’ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un’Itaca.
I barbari
«Sull’agorà, qui in folla chi attendiamo?»
«I barbari che devono arrivare»
«E perché i senatori non si muovono?
Cha aspettano essi per legiferare?»
«È perché devono giungere, oggi, i Barbari.
perché dettare leggi? Appena giunti,
i Barbari, sarà compito loro»
«Perché l’Imperatore s’è levato
di buon’ora ed è fermo sull’ingresso
con la corona in testa?»
«È che i Barbari devono arrivare
e anche l’Imperatore sta ad attenderli
per riceverne il Duce; e tiene in mano
tanto di pergamena con la quale
offre titoli e onori»
«E perché mai
sono usciti i due consoli e i pretori
in toghe rosse e ricamate? e portano
anelli tempestati di smeraldi,
braccialetti e ametiste?»
«È che vengono i Barbari e che queste
cose li sbalordiscono»
«E perché
gli oratori non sono qui, come d’uso,
a parlare, ad esprimere pareri?»
«È che giungono i Barbari, e non vogliono
sentire tante chiacchiere»
«E perché sono tutti nervosi? (I volti intorno
si fanno gravi). Perché piazze e strade
si vuotano ed ognuno torna a casa?»
«È che fa buio e i Barbari non vengono,
e chi arriva di là dalla frontiera
dice che non ce n’è neppure l’ombra»
«E ora che faremo senza Barbari?
( Era una soluzione come un’altra,
dopo tutto…)».
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