CARAVAGGIO. L’ECCE HOMO RITROVATO

di Irene Niosi


La vita di Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571- 1610) è segnata da fughe rocambolesche che restano la principale causa della dispersione e anche della perdita di molte sue opere.  Questa sorte è toccata al dipinto “Ecce Homo”, la cui riscoperta è considerata una fra le più importanti degli ultimi trent’anni.

 La tela, di collezione privata, è stata riconosciuta come opera autentica di Caravaggio, dopo che nel 2021 era comparsa in una Casa d’Aste di Madrid attribuita ad un allievo di Josè de Ribera e valutata per l’esigua somma di millecinquecento euro ma le autorità spagnole ne bloccarono la vendita perché era evidente che sia l’attribuzione, sia la valutazione non erano adeguate alla sua qualità. Il dipinto è stato infatti acquistato da un misterioso compratore per 36 milioni di euro. Da quel momento in poi c’è stata la corsa degli addetti ai lavori per assicurarsi la paternità dell’attribuzione. Dopo un’accurata indagine durata tre anni tra prove documentarie e stilistiche, antiquari famosi, restauratori illustri insieme a studiosi e critici tra i più accreditati esperti di Caravaggio, si sono trovati unanimemente d’accordo sull’autenticità dell’opera che, per volontà del nuovo proprietario,  un vero mecenate, è stata esposta  prima a Madrid al Museo del Prado  e ora, dopo oltre quattrocento anni ritorna a Roma alla mostra Caravaggio 2025 di Palazzo Barberini apertasi il 7 marzo scorso.

Riguardo alla committenza e alla datazione del capolavoro, la questione resta aperta, ancora persistono tesi divergenti. La maggioranza della critica ritiene che il dipinto si possa datare tra il 1605 e il 1609 quando viene menzionato per la prima volta in uno scritto del 25 giugno 1605 in cui Caravaggio s’impegna a dipingere questo soggetto per il cardinale Massimo Massimi, ma anche su questo documento non tutti sono concordi. Da un’attenta lettura stilistica gli esperti hanno affermato che l’opera sia ascrivibile all’inizio del periodo napoletano del grande artista intorno al 1606, ad avvalorare questa tesi, dalle prove documentarie si è a conoscenza che il quadro fu acquistato dal Viceré di Napoli e che venne incluso nella collezione di Filippo IV di Spagna.

Fornisce un fondamentale punto di partenza per la comprensione di questa nuova aggiunta al corpus artistico di Caravaggio, la pubblicazione di Marsilio editore “Caravaggio. L’Ecce Homo svelato” che riunisce i contributi di Maria Cristina Terzaghi, Gianni Papi, Giuseppe Porzio e Keith Christiansen.

La prima a vedere il Cristo tra le storiche dell’arte è stata Maria Cristina Terzaghi una delle co- curatrici della mostra a Palazzo Barberini che ha affermato: “l’Ecce Homo brilla qui per la prima volta in mezzo alle altre opere di Caravaggio, in particolare quelle del primo e secondo soggiorno napoletano svelando ancora una volta la sostanza della poetica del maestro, vero e umano.

L’opera dopo il restauro appare all’osservatore come un fotogramma, un fermoimmagine in cui si sta per consumare il dramma di Gesù Cristo quando viene consegnato alla folla da Ponzio Pilato.  Il governatore romano in primo piano ha un aspetto terrificante, metà del viso è nascosto da un folto barbone scuro, dalla posa delle mani sembra proprio che stia per pronunciare le fatidiche parole: “Ecco a voi il Re dei Giudei”. La tensione drammatica di quel momento si cristallizza in quel semplice gesto e la realtà viene messa a nudo in tutta la sua crudezza. La scena si presenta tridimensionale, dinamica e innovativa anche se fedele alla tradizione iconografica. In posizione centrale si trova la figura di Gesù Cristo, dal suo petto la luce si diffonde a sottolineare che è lui il protagonista della scena. Gli occhi socchiusi del Cristo celano una sofferenza più rassegnata che dolente, in una posa che è presumibilmente un riferimento all’ Ecce Homo” di Tiziano del Prado.  Nell’ ultima figura in ombra, parte della critica ravvede una certa somiglianza col “Bacchino malato” datata 1595, ovvero del periodo romano di Caravaggio. Più plausibile resta però la tesi che l’artista nel 1606 dopo aver ucciso Ranuccio Tomassoni, costretto a fuggire da Roma con l’aiuto dei Principi Colonna, abbia dipinto il Cristo nel suo primo soggiorno a Napoli.  Rimandano allo stile del grande maestro, sia la pennellata, sia l’uso della luce elementi essenziali come la sua poetica che racconta la realtà così come essa è, la ritrae senza filtri di carattere storico e poetico.

Nella collezione di Palazzo Bianco a Genova esiste una tela dello stesso soggetto attribuita come opera autografa del maestro nel 1954 da Roberto Longhi che oggi, messa a confronto, secondo Vittorio Sgarbi,“impallidisce” dinanzi a questa eccezionale riscoperta.

Per la sua ineguagliabile forza nel dipingere la realtà, Caravaggio, artista del suo tempo, resta ancora così attuale e moderno. In meno di quindici anni di attività, dal 1595 quando si stabilisce a Roma fino alla sua tagica morte nel 1610, riesce a scardinare tutti gli equilibri ereditati, nel segno di un radicale rinnovamento artistico, culturale, sociale e perfino religioso.

Caravaggio, Ecce Homo dopo il restauro,1606-1609, olio su tela, 116×86 cm Collezione Privata, Madrid

In copertina: Caravaggio (Michelangelo Merisi), Ecce Homo, prima del restauro 


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