BERLINO, ESTATE ’42: L’AMORE COME ULTIMO ATTO DI RESISTENZA

di Alessandra Mattirolo


L’estate è bellissima a Berlino. Intorno ai laghi i giovani campeggiano, cantano, bevono si innamorano. I loro sentimenti e le loro energie appaiono ancora più forti e totalizzanti di fronte alle atrocità del nazismo che sta inghiottendo l’Europa. Il film è la storia di un amore ai tempi di Hitler. Due giovani Hilde Rake e Hans Coppi, interpretati rispettivamente da Liv Lisa Fries e Johannes Hegemann, si incontrano, si amano, si sposano e con la stessa passione si oppongono al regime hitleriano. Fanno entrambi parte del gruppo Orchestra Rossa, composto per lo più da ragazzi che tentano, tra ciclostili clandestini, volantini e contatti in codice con i Russi, di far sentire la propria voce. Solo uno di quei messaggi all’Unione Sovietica arriverà mai destinazione.

Sono dei piccoli Davide contro Golia solo che la storia vera non premia e non perdona. La pellicola si muove tra la luce dorata dell’estate e il gelo cupo delle carceri tedesche dove Hilde e Hans vengono rinchiusi. Hilde è incinta e sebbene debole e malnutrita partorisce in carcere. La ragazzina ingenua con gli occhialetti tondi si trasforma in una donna dalla forza insospettabile, capace di far crescere il suo piccolo Hans, in prigione sapendo che la sua vita e quella del marito è già segnata. L’amore è per lei l’ultima forma di resistenza possibile. La sua tenuta psicologica riesce a smuovere la durezza delle guardie carcerarie soprattutto di una di loro, Miss Khun, interpretata da Lisa Wagner.  Nel suo sguardo privo di sentimentalismo ma pieno di ammirazione, si legge l’umanità che sopravvive malgrado tutto. Il suo ruolo di carceriera non le impedisce di soffrire per il destino di quella piccola donna coraggiosa.

Il regista  Andreas Dresen punta il suo obiettivo sulla ferocia nazista, ma non quella più spesso raccontata contro ebrei, rom, dissidenti stranieri.  Ma quella che si scatena contro i propri figli, alti, biondi, ariani, tedeschi; l’orrore più profondo del regime che non perdona chi non si piega alla cieca obbedienza.  Dresen ci mostra il nazismo nella sua forma più reale e mostruosa: la burocrazia del terrore, l’umiliazione sistematica, la cancellazione lenta dell’individuo.  

Cresciuto nella Germania dell’est, dove le vicende dell’Orchestra Rossa avevano acquisito nel tempo un alone mitologico, Dresen sceglie per il suo film un racconto intimo dove il privato si mescola con il pubblico. I sentimenti dei protagonisti sono potenti e centrali ma non vengono disgiunti dalla sofferenza del mondo che li circonda in uno dei momenti più cupi della storia.  La vicenda dei due giovani è tanto più forte quanto reale. Hans muore nel 42 Hilde, nel 43. 

Prima di morire Hilde scrive delle lettere al figlio perché un giorno possa avere memoria di sua madre e del suo passato.  Alla fine del film si sente la voce del vero Hans, oggi ottantenne, cresciuto nel ricordo della madre.  La sua testimonianza è commovente ma anche una forma di riscatto per quella donna dal destino interrotto  che ha prodotto tuttavia una vita pienamente compiuta.


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