UNA CONNESSIONE TRA CIELO E TERRA: MERUDANDA

di Anna Michela Borracci
Quando siamo nati la nostra colonna vertebrale era un’unica cifosi ed esprimeva la nostra natura più primitiva, quella del soddisfacimento dei nostri bisogni primari: il nutrimento, l’affetto, il calore della casa. Riportare il corpo in posizione fetale rappresenta un vero e proprio ritorno alle radici, alla solidità della terra che ci accoglie e ci sostiene. Quando ci atteggiamo negli asana dell’ostrica, del bambino che dorme, della foglia piegata, ritroviamo un intimo raccoglimento in noi stessi, con il nostro sacro come protezione e l’ombelico come fulcro, in cui tutto si può abbandonare alla forza di gravità sfruttando la passività dell’espiro.
Ma crescendo l’essere umano sviluppa altre qualità, prima tra le quali la volontà di portare il proprio sguardo in avanti. Ecco allora il bimbo curioso alle prese, fin dal terzo mese di vita, con il sollevamento della testa, per scoprire cosa c’è al di là della propria pancia. Per fare ciò sviluppiamo la nostra prima lordosi, quella cervicale, che ci consente di mantenere il cranio in appoggio sulle spalle e andare oltre con i nostri occhi. Quando giochiamo con la mobilità della testa e la sua leggerezza, come ad esempio nella posizione del pavone, della pergola o nel pesce, ritroviamo lo spazio della gola come espressione della nostra capacità di apprendimento, di allargamento dei nostri orizzonti e di facoltà espressiva. Dai primi vocalizzi nascerà il nostro futuro dialogo con l’intero universo.
Dopo il primo anno di vita, per mettersi sui due piedi, il bambino sviluppa la seconda importantissima lordosi, quella lombare, con 5 vertebre, come cinque sono le dita della mano, che gli consente di radicare il proprio tallone a terra completando l’appoggio del piede e di mobilizzare il bacino! Quando eseguiamo la posizione del gatto, del cobra, o la flessione in avanti, nutriamo il tratto lombare della nostra colonna e con esso l’intera cinta pelvica, le anche e le gambe.
La cifosi dorsale rappresenta invece, come il sacro, una curvatura primaria, presente fin dal concepimento, e svolge il ruolo di custode premuroso dello spazio dei ritmi: cuore e polmoni. 12 vertebre, come i dodici petali del chakra del cuore, i dodici pani, i dodici apostoli. È dalle sue vertebre che dipende la mobilità delle costole. Negli stiramenti della mezza luna, nelle posizioni di mobilità delle mani e delle braccia, o in asana come l’aquila o il muso di mucca, ritroviamo lo spazio del nostro io e della sua relazione con l’intero universo. Su questa mobilità poggia anche la nostra cintura scapolare che si estende fino all’estremità delle mani.

Ma parlare di spazi separati non ha poi molto senso. Possiamo portarvi la nostra attenzione per percepirli e risvegliarli uno ad uno, ma il lavoro dello yoga è ristabilire una relazione tra tutte le zone della colonna e tra esse e il resto del corpo.
La colonna vertebrale nello yoga è conosciuta come Merudanda, da Meru, la montagna sacra attraversata dall’asse terrestre e danda, bastone. Attraverso la pratica ne alimentiamo il ruolo di sostegno e di collegamento dell’intero corpo/mente tra terra e cielo. La sua architettura straordinaria ci rende essere dinamici, trasformandoci in alberi che camminano, con le radici forti e salde e una chioma leggera e luminosa. Per poter esprimere il massimo delle nostre potenzialità, ha bisogno di essere viva. Tutto ciò che la blocca rappresenta infatti un impoverimento della nostra capacità di adattamento alla vita. Ma non basta muoverla. Occorre accendere un faro sul respiro. Il respiro è infatti il direttore d’orchestra delle nostre curve, migliora la nostra stabilità, l’equilibrio e la relazione tra tutte le famiglie posturali del nostro corpo, nonché dei nostri organi. Per capire meglio la relazione tra colonna e respiro dobbiamo addentrarci nella conoscenza del muscolo del diaframma e dei sui aiutanti… Cosa che faremo nel prossimo numero. Nel frattempo, tanta gentilezza e tanto ascolto.
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