SULLE ALI DEL RESPIRO

di Anna Michela Borracci


“Prevenire è meglio che curare” recita un antico illuminato proverbio del XVII secolo!

I nostri polmoni sono l’organo della respirazione. Ma vi siete mai chiesti chi c’è dietro la loro mobilità? E siete così sicuri di averne una corretta percezione? Ve lo chiedo perché, anche se respiro è vita, spesso non ne siamo così consapevoli e ci accontentiamo di un minimo termine quando invece potremmo ottenere cose straordinarie. Lo yoga è ricchissimo di esercizi respiratori. Prima ancora di addentrarci nell’arte del Prānāyāmā (la conduzione della vitalità nel corpo), incontriamo gli aspetti fisiologici che ci fanno da ponte verso un mondo più sottile. Risvegliamo attraverso gli asana tutta la muscolatura del respiro, il diaframma toracico e quelli accessori. Possiamo farlo poiché, pur appartenendo questi muscoli sostanzialmente al sistema nervoso autonomo, affidati quindi alla natura e al nostro istinto di sopravvivenza, hanno tuttavia una parte di fibre volontarie, che ne rendono modificabile il comportamento.

Uno dei classici esercizi è ad esempio il respiro quadrato, in cui stabiliamo una certa durata regolare di espiro, pausa a polmoni vuoti, inspiro, pausa a polmoni pieni. O il respiro triangolare, quello frazionato, e tantissimi altri. Ma perché, vi chiederete, è così importante risvegliare il respiro? E vi rispondo subito: per imparare a controllarlo, a mettere un piede nel mondo della natura e dei processi vitali profondi.  In fondo, se ci pensate, il respiro è proprio l’unico atto che sta a cavallo tra la nostra mente e il corpo. Se andate a fare una corsa esso accelera per supportare la richiesta di ossigeno che arriva dal corpo; quando dormite rallenta perché l’assenza di movimento determina una minore necessità di carburante. Allo stesso tempo esso è soggetto ad alterazioni che provengono dalla mente. Quante volte vi siete trovati anche voi con il respiro sospeso in inspiro per lo spavento, o svuotati in assetto meditativo. Se possiamo controllare il respiro possiamo controllare processi metabolici e pensieri. Ecco svelato il dilemma. Lo yogin è un mago che vuole impadronirsi dei segreti della natura, mettersi al centro della propria vita, allungarla e gestirla rimanendo sempre nella condizione di “perno” della ruota. È una posizione privilegiata che ci consente di accogliere senza giudicare, scegliere con sguardo aperto sulla complessità del reale, non in preda ai nostri istinti o alle nostre emozioni.

Ma dov’è il diaframma toracico, che forma ha? Assomiglia ad un’architettura a cupola, con il suo centro frenico che separa la cavità toracica da quella addominale; lunghe fibre muscolari verticali, collocate prevalentemente posteriormente e lateralmente, lungo le ultime sei costole, tra l’apice della cifosi dorsale e la lordosi lombare; e due lunghi pilastri che lo ancorano alle prime vertebre lombari.  A livello posturale, rappresenta un fondamentale elemento di collegamento tra le diverse aree del tronco, non esclusa la testa che si ricollega ad esso attraverso le cervicali e l’esofago. Questo non per voler approfondire troppo gli aspetti anatomici, ma solo per accendere una piccola luce sulla sua cruciale importanza. Di cosa ci preoccupiamo noi, invece? Di tonificare i glutei, l’addome, insomma della prova costume, trascurando completamente aspetti funzionali ben più importanti. Il diaframma, grazie alla sua mobilità e alle sue inserzioni, fornisce un profondo massaggio su tutta la colonna vertebrale, nutrendo i dischi e facendoli respirare. In inspiro la colonna si decomprime, in espiro ritrova le sue lordosi e cifosi. Ad essa sono collegate la cinta pelvica e quella scapolare, ponte verso la mobilità degli arti. Anche queste articolazioni, sebbene possano apparire quasi saldate, dovrebbero muoversi insieme al movimento del diaframma. Quando ciò non avviene si va incontro a degenerazioni dell’anca, del ginocchio, fino al piede o del braccio, la famosa scapola congelata. Oltre all’aspetto di respirazione articolare, il diaframma si occupa anche della salute dei nostri organi interni. Sopra, cuore e polmoni che siedono su di esso come su un trono. I polmoni si riempiono e si svuotano grazie alla sua azione, e anche il cuore riceve un grande aiuto nella spinta del sangue venoso. Mentre al di sotto del centro frenico, gli organi dell’addome vengono stimolati da questo continua azione di attivazione e rilasciamento, evitando stagnazioni e quindi processi infiammatori o degenerativi.

La mobilità del diaframma è inspiratoria, cioè si contrae per far scendere il centro frenico e creare una pressione negativa a livello toracico che fa sì che l’aria venga aspirata dall’esterno verso l’interno dei polmoni, mentre si rilascia in espiro, creando una compressione che fa uscire l’aria dai polmoni verso l’esterno. Ovviamente, ma non è poi così ovvio, il diaframma non fa tutto da solo. Ha aiutanti importanti di cui parleremo un’altra volta.

Per ora ecco un piccolo esercizio. Mettiamoci comodamente seduti su una sedia. Portiamo il tronco leggermente in avanti in modo da essere ben appoggiati sullo spazio del bacino. Osserviamo il respiro che esce dal naso e rientra dal naso. Dove lo percepiamo? In addome, sulle clavicole? Proviamo a portare la consapevolezza posteriormente sulla colonna. Durante l’espiro lasciamola appoggiare verso terra, una vertebra alla volta rispettando le sue curve fisiologiche. Percepiamo il peso dei volumi testa-torace-addome che si fondano uno sull’altro. Svuotiamo, lasciamo andare ogni tensione e pensiero inutile. Quando arriviamo al fondo, e solo allora, iniziamo ad alleggerire la colonna in inspiro, dal basso verso l’alto. Facciamolo per qualche minuto ogni giorno. Vedrete che il vostro respiro vi porterà sulle ali di una maggiore libertà: di movimento e di pensiero.


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