STORIA DI VITTORIA COLONNA, LA PRIMA GRANDE POETESSA ITALIANA

di Andrea La Rovere


Quando si pensa alle donne del Rinascimento, vengono subito in mente le solite due: Isabella d’Este, la mecenate menata per il naso da Leonardo da Vinci, e Lucrezia Borgia, vittima ancora oggi di diffamazione ogni volta che se ne parla. Ma c’è un’altra donna che ha fatto di più, se parliamo di emancipazione: Vittoria Colonna. Poetessa raffinata, moglie felice e, soprattutto, grande amore di Michelangelo. Platonico, s’intende, visto che il grande artista era con ogni probabilità omosessuale.

Ora, sapete che il Vostro narratore è di Pescara e, ve lo garantisco, ignorare Vittoria Colonna è difficile. Sì, perché la nostra era la Marchesa di Pescara e nella mia città è omaggiata da vie, targhe sul ponte più importante e tutto quanto. Considerando che Pescara è una bella cittadina, ma abbastanza povera di storia che conta, beh, Vittoria Colonna ce la teniamo stretta.

La donna nasce forse nel 1492 in una delle famiglie più blasonate d’Italia: i Colonna, nobiloni che avevano più castelli che problemi. A sei anni è già promessa sposa – perché nel Rinascimento non si perdeva tempo con frivolezze come l’infanzia – a Ferrante d’Avalos, Marchese di Pescara. Il matrimonio viene celebrato nel 1509 e, con sorpresa di tutti, non è un disastro. Anzi, sembra una di quelle rare unioni combinate che funzionano: Ferrante è un tipo in gamba, Vittoria è colta e intelligente, e i due si stimano davvero. Forse anche il fatto che abbiano la stessa età influisce, visto che spesso era uso dare in pasto a uomini già adulti spose di età poco consona.

Peccato che Ferrante sia più impegnato a menare francesi sui campi di battaglia che a godersi la vita matrimoniale.

Ferrante viene fatto prigioniero e poi rilasciato, vince, perde, si copre di gloria. Fin qui tutto bene, ma nel 1525, dopo aver combattuto a Pavia per Carlo V, ci rimette la ghirba. Vittoria, che lo amava per davvero, sviene mentre è a cavallo e si ritira in un lutto da competizione. Come le consiglierebbero oggi schiere di counselor, incanala il dolore nella poesia. Il rischio è tremendo, potrebbe venir fuori qualsiasi cosa: una poetessa da reading parrocchiale, una che va a capo quando scrive la lista della spesa, un prototipo di Franco Arminio. E invece nasce la Vittoria Colonna che oggi dovremmo conoscere: la prima grande poetessa italiana.

Le sue Rime – che alternano struggenti versi d’amore e profonde meditazioni spirituali – diventano un caso letterario. Finalmente una donna non scrive solo lettere d’amore o sonetti anonimi, ma è una voce autorevole nella scena culturale del tempo. E che scena! Vittoria entra in contatto con i migliori ingegni dell’epoca, dai riformatori religiosi ai letterati più in voga. È una delle poche donne del suo tempo a essere trattata da pari dai grandi intellettuali.

Attorno a Colonna si crea un vero circolo letterario, una specie di clan, con Vittoria che è circondata dai migliori artisti e letterati del secolo, tra cui Michelangelo Buonarroti, Ludovico Ariosto, Jacopo Sannazaro, Giovanni Pontano, Bernardo Tasso, Annibale Caro, Pietro Aretino, Girolamo Britonio, Angelo di Costanzo e molti altri.

Il vero colpo di scena arriva proprio con Michelangelo Buonarroti. Il genio del Rinascimento, noto per essere un burbero misantropo, davanti a Vittoria diventa un pezzo di pane, un languidone, come certe sessantenni davanti ad Achille Lauro o Damiano David. La venera, le scrive lettere appassionate, le dedica disegni e sonetti. Lei, con grazia e savoir-faire, ricambia e ne nasce un leggendario amore platonico.

Michelangelo le dedica questi versi: “Un uomo in una donna, anzi uno dio/per la sua bocca parla,/ond’io per ascoltarla, son fatto tal, che ma’ più sarò mio”.
A leggerli oggi suonano tremendamente sessisti: per magnificare le doti di Vittoria Colonna, Miky nostro dice che è come se parlasse un uomo! Addirittura! Ovviamente, Michelangelo è in perfetta buona fede, erano i tempi a essere terribili. Non che sia cambiato molto, dopotutto, ogni volta che chiamiamo una ministra declinando al maschile facciamo lo stesso, attribuendo più valore a un titolo se è formulato al maschile.

Vittoria passa gli ultimi anni tra ritiri spirituali, scrivendo e dedicandosi alla sua fede, anche se i litigi del fratello col papa la mettono a rischio di Inquisizione. La scampa, ma solo perché nel 1547 saluta la compagnia, lasciando dietro di sé una reputazione di donna straordinaria, poetessa influente e amica – alla pari, non “musa” – di uno dei più grandi artisti della storia.

Vittoria Colonna, Marchesa di Pescara, è riuscita a lasciare il segno in un’epoca dominata dagli uomini, senza complottare, senza intrighi e voltafaccia, ma solo col suo insuperabile intelletto.


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