NIENTE DRAGHI PER CELESTE!

di Paola Merolli
“Niente draghi per Celeste!” nasce dalla collaborazione di due grandi autori e illustratori tedeschi Nikolaus Heidelbach e Ole Könnecke. Pubblicato in Italia da Beisler editore, il libro ha conquistato alcuni tra i più prestigiosi premi per l’infanzia nel 2025: il Premio Strega Ragazze e Ragazzi (categoria Narrazione per Immagini), il Bologna Ragazzi Award come Miglior Early Reader, e il Premio Andersen per il miglior libro 6/9 anni.
La trama è semplice, almeno in apparenza: i genitori escono per una festa e lasciano Boris, il fratello maggiore, a badare alla sorellina Celeste. Cena a base di patatine e dolci, poi una storia della buonanotte spaventosa, proprio come piacciono a lui. Ma Celeste non si lascia impressionare: si annoia, sbadiglia, ride, fa domande fuori tema, e perfino si commuove per la sorte di uno scimmione gigante.
Delusa dalle storie “paurose” del fratello, reclama: “Voglio una storia davvero da brividi.” Boris, frustrato, le risponde: “Allora raccontala tu, se sei così esperta!”
Il finale è imprevedibile e tenero. Boris e Celeste sono uniti da un legame profondo, di amore e complicità. Gli equilibri sempre in bilico. I ruoli intercambiabili. Un rapporto complesso dove sono in gioco tanti temi essenziali per la crescita, per gli individui che piano piano diventeranno.
Gli stili si alternano e si completano: Ole Könnecke racconta il quotidiano familiare in stile fumetto, mentre Nikolaus Heidelbach illustra le storie paurose di Boris con tavole potenti e visionarie.

Celeste è una bambina vera, non una caricatura: testarda, curiosa, a tratti irritante, ma sempre adorabile. Autentica.
Boris è il classico fratello maggiore un po’ saccente, convinto di avere la verità in tasca solo perché è il più grande. Ma Celeste non si accontenta del “così fan tutti”: con naturalezza, sovverte ogni schema. Le storie spaventose non la toccano, anzi la divertono. Le sue risposte ironiche ribaltano la dinamica tra fratello e sorella. Ma Boris non è l’antagonista.
Dietro le sue storie c’è un desiderio genuino di protezione. I suoi mostri non fanno davvero paura: sono “spaventi controllati”, pensati per darle sicurezza. È come se le dicesse: “Voglio che tu sappia che il mondo può fare paura, ma non troppo. Perché io sono qui, e lo sto raccontando io.”
Il paradosso – e la magia del libro – sta qui: Celeste non ha bisogno di quella protezione.
O, almeno, non nel modo in cui lui pensa.
La sua forza è già tutta lì, dentro di lei: fatta di immaginazione, libertà e intelligenza emotiva.
Mentre Boris pensa di guidarla, è lei che – con dolcezza e ironia – conduce lui verso una nuova consapevolezza. Celeste prende in giro, smonta, decostruisce le storie del fratello. Ma lo fa con uno stile tutto suo: mai aggressiva, mai saccente. È un’ironia elegante, sottile, di chi sa benissimo come funziona il gioco e sceglie di guidarlo senza che l’altro se ne accorga.
Questa ironia è una forma di libertà. Celeste rifiuta di accettare la realtà che le viene servita già pronta – che sia una storia paurosa o un ruolo da “sorellina da proteggere”. Con la sua ironia, ricostruisce il mondo a modo suo, lo ridipinge, lo ribalta.
E lo fa senza arroganza, senza voler vincere. Proprio per questo la sua ironia funziona anche per i lettori adulti: nasce da un’intuizione profonda sul come funzionano i rapporti, le paure e le gerarchie.

La dinamica tra Boris e Celeste, oltre a regalare momenti esilaranti, è uno specchio di due mondi che si confrontano: da una parte l’autorità, la tradizione, il “si fa così”; dall’altra, la mente libera di chi osserva, rielabora e trasforma.
Anche sotto l’atteggiamento da saputello, Boris cela un bisogno tenero: proteggere sua sorella. Ma è proprio nel contrasto tra il suo desiderio di guidarla e l’indipendenza di lei che si crea un legame credibile, pieno di sfumature.
Le storie di Boris, anche se inefficaci come “racconti dell’orrore”, diventano per Celeste un “campo di addestramento” per la sua immaginazione. Senza un fratello da “sorprendere”, prendere in giro o superare, Celeste non avrebbe bisogno di trovare la sua voce.

Il bello del loro rapporto è che non c’è un vincitore e un vinto. Nessuno dei due ha ragione o torto. C’è piuttosto un continuo scambio di ruoli, come in una danza. E da questa danza emerge una lezione preziosa: si cresce non solo da soli, ma insieme.
Grazie all’altro, anche quando l’altro ci sfida o ci contraddice. Insieme, costruiscono un rapporto che non è sempre armonioso, ma autentico, e proprio per questo educativo per entrambi. E per chi legge. Bambini e adulti.

