MARIA CALLAS, TRA ARTE E GOSSIP

di Pietro Pellegrino
Dire in parole brevi chi è stata Maria Callas, cosa ha significato la sua voce e il suo stile interpretativo nella storia del canto lirico è come tentare di far passare il biblico cammello attraverso la cruna di un ago. Per convincersene basta scorrere l’Imponente, varia e discorde bibliografia accumulatasi sulla Callas, cantante, donna, attrice, protagonista di rotocalchi, paragonabile per quantità solo a quella sul tenorissimo Enrico Caruso. Aggiungo che se c’è stata una cantante che ha diviso melomani, loggionisti, critici musicali, perfino letterati e ascoltatori occasionali in fazioni contrapposte, che ha alimentato insieme impietose stroncature e un’ammirazione ai limiti del fanatismo, questa è stata la Callas. Nessun’altra cantante lirica ha infatti polarizzato con altrettanta intensità emotiva e direi ideologica il consenso e il dissenso, i like e i dislike del pubblico e della critica. Per quanto la sua biografia – grazie alla esposizione mediatica in vita e dopo la morte – sia probabilmente nota anche gli outsider dell’opera lirica, è qui utile fissarne almeno le coordinate essenziali.
Maria Callas, pseudonimo di Μαρία Άννα Καικιλία Σοφία Καλογεροπούλου (Maria Anna Cecilia Sofia Kalogeropoulou) nasce a New York il 2 dicembre 1923, da genitori di nazionalità greca.
Se stiamo ai ricordi -non sappiamo quanto fantasiosi- della madre, la “piccola” Maria pesava alla nascita sei chilogrammi. Trascorre gli anni dal 1927 al 1937 negli Stati Uniti, dove già nel 1931 prende lezioni da una imprecisata maestra di canto, rivelando un talento precoce, se è vero – sempre secondo quanto racconta la madre – che la piccola Maria cantando alla finestra attirava l’attenzione dei passanti, che, incantati dalla bellezza della sua voce, si fermavano ad ascoltarla. Nel 1937, dopo la separazione dei genitori, Maria si trasferisce con la madre Evangelia e la sorella Iakinti ad Atene, dove si iscrive al Conservatorio e studia canto con il soprano italiano Maria Tricella; a soli 15 anni debutta come Santuzza nella Cavalleria Rusticana di Mascagni. Nel 1939 avviene l’incontro, decisivo per la formazione e lo sviluppo della sua vocalità, con Elvira de Hidalgo, il celebre soprano leggero di coloratura (capace cioè di eseguire con tecnica impeccabile i virtuosismi della scuola belcantistica). Continua a cantare fino al 1945 al Teatro Reale di Atene, alternando ruoli del repertorio italiano, francese e tedesco. Dopo un breve ritorno negli Stati uniti, si trasferisce nel 1947 in Italia e grazie all’appoggio del basso Nicola Rossi Lemeni (che causalmente l’aveva sentita cantare a New York l’aria della Gioconda “Suicidio!”), del maestro Tullio Serafin e ai buoni uffici di Giovanni Battista Meneghini – un ricco imprenditore veneto, appassionato di canto lirico, suo futuro marito e manager- esordisce all’Arena di Verona, nella Gioconda di Ponchielli; successivamente canta alla Fenice di Venezia in Tristano e Isotta e nella Walkiria di Wagner, virando con perfetta proprietà stilistica e vocale dal ruolo di soprano lirico spinto (Ponchielli )a quello di soprano drammatico (Wagner). Nel 1948 debutta a Caracalla nella Turandot di Puccini. Nel 1949 la buona sorte le spiana la carriera: Tullio Serafin, il decano dei direttori italiani, la chiama a sostituire alla Fenice di Venezia il soprano Margherita Carosio ammalata, nel ruolo di Elvira nei Puritani di Bellini. Maria impara la parte in meno di 15 giorni, assimilando la vocalità del personaggio (soprano leggero di coloratura) con un mimetismo tecnico-stilistico unico nella storia del belcanto.Nel 1949 sposa Giovanni Battista Meneghini e si trasferisce a Sirmione in una villa sul lago di Garda dove la coppia vive fino al 1959. Gli anni 1951-1957 coincidono con la definitiva affermazione della Callas che entra nei cartelloni dei principali teatri e alla Scala di Milano diventa una presenza stabile, inaugurando per parecchi anni consecutivi la stagione operistica; sono questi gli anni d’oro della sua vocalità che fondano il mito della “divina”. Nel teatro scaligero canta di seguito nei Vespri Siciliani, nel Macbeth, nel Trovatore di Verdi, nella Lucia di Lammermoor di Donizetti e nella “storica” Traviata del 1955 con Giuseppe di Stefano (Alfredo), Ettore Bastianini (Germont), la direzione di Giulini e la regia raffinata e innovativa di Luchino Visconti. Negli stessi anni inizia una intensa attività di registrazione per la Fonit Cetra, poi stabilmente per la Columbia-Emi, incidendo Lucia, Norma, Tosca, Manon Lescaut, Sonnambula. Fra il 1951 e il 1952 si sottopone a una dieta ferrea – su cui si è esercitata la puntigliosa esegesi, talvolta aneddotica e pettegola, di foniatri, medici, esperti di voci, con ipotesi mai pienamente confermate né smentite, che vanno dagli effetti taumaturgici di una tenia volontariamente ingerita, a iniezioni sulla tiroide per inibire lo stimolo della fame – che le fa perdere 36 chili di peso. La cronistoria di questa trasformazione fisica è tracciata, con la orgogliosa precisione di un perito contabile, dalla stessa Callas che segna ogni volta accanto alla data delle sue performances il suo peso in costante decrescita. Alla base di una scelta cosi drastica da sembrare autopunitiva sta la volontà di identificarsi con un modello femminile opposto a quello della giunonica donna mediterranea ; la seduceva inoltre lo stile sofisticato, il portamento elegante, la leggerezza quasi incorporea di un attrice come Audrey Hepburn, cui finì per assomigliare, oltre che nella silhouette, nell’abbigliamento, nella pettinatura, nel trucco, nella souplesse dei movimenti e dei gesti. La metamorfosi fu tale che Giulini, incontrandola alla Scala nel 1954, non rispose al suo saluto. “Era diventata un’altra donna”, avrebbe raccontato e non l’aveva perciò riconosciuta. Se la trasformazione fisica contribuisce da un lato a valorizzare anzitutto le sue innate capacità sceniche e attoriali, consentendole una morbidezza e varietà di posture che favoriscono la piena identificazione scenica e psicologica con il personaggio, dall’altro scopre i segni di un precoce declino vocale che diventerà irreversibile già all’inizio degli anni ’60. Sul punto, va chiarito subito per obiettività, le opinioni sono divise. Secondo alcuni musicologi la relazione causale fra rapido dimagrimento e usura vocale è un fatto incontestabile, documentato dalle incisioni discografiche e dagli ascolti live, altri invece liquidano il rapporto di causa-effetto come meccanica applicazione del principio post hoc propter hoc e preferiscono parlare di evoluzione “timbrica” della sua voce. Ancora oggi la questione è aperta e alimenta una bibliografia in costante aggiornamento. Va ricordata in proposito la défaillance vocale durante la “prima ” nel 1958 della Norma di Bellini al Costanzi di Roma dove Maria, davanti a un parterre sceltissimo composto dal Presente della Repubblica Gronchi e dalla crème de la crème della nobiltà e della politica romana, abbandona la recita, alla fine del primo atto, per un improvviso calo di voce che la rende quasi afona, uscendo dal teatro attraverso un corridoio segreto (poi denominato “passaggio Callas”) che collegava il Costanzi al vicino hotel Quirinale. Il forfait fa’ scandalo, innesca polemiche a non finire, provoca addirittura delle interrogazioni parlamentari, che evolvono in uno strascico giudiziario concluso nel 1971 con una sentenza favorevole alla Callas. Di recente è stata rinvenuta nella Biblioteca dell’Accademia dei Lincei una lettera di scuse che la Callas all’indomani del forfait aveva inviato al Presidente Gronchi.
Decisivo nel 1957 è l’incontro con Aristotele Onassis , il ricchissimo armatore greco, di cui Maria si innamora, lasciando nel 1959 il marito. Il carattere sanguigno, fortemente egocentrico e incostante di Onassis è “croce e delizia” per Maria. Il rapporto dura circa 10 anni fra alti e bassi, fra liti furibonde e idilliache pacificazioni, senza mai però stabilizzarsi nel matrimonio promesso e sempre rimandato da Onassis. Dalla relazione sarebbe nato, secondo fonti recenti, un bambino chiamato Omero, morto poco ore dopo il parto per insufficienza respiratoria. Il 20 ottobre 1968, mosso probabilmente da interessi economici, Onassis sposa Jacqueline, vedova di John Fitzgerald Kennedy. Per Maria, che viene a sapere del matrimonio solo dai giornali, lo choc è insostenibile. Scivola in una depressione cupa da cui cerca di evadere, accettando di partecipare al film di Pasolini, Medea, nel ruolo del titolo; ma il film non ha il successo sperato e il rapporto simpatetico allacciato con Paolini si rivela presto un’altra delusione, per la dichiarata omosessualità dello scrittore.Nel 1972 inizia, a fianco del tenore Giuseppe di Stefano, (cui la lega un sentimento non solo amicale) una lunga tournée in tutto il mondo, con una serie di concerti nei principali teatri d’ opera in cui presenta i pezzi forti del suo repertorio. Dalle registrazioni live e dai riversamenti in disco è tuttavia evidente che l’assetto vocale è ormai vistosamente compromesso, specie nel registro acuto , oscillante e metallico, e nelle zone di passaggio che mostrano un legato poco omogeneo, “sfilacciato”; si nota inoltre una diffusa perdita di corpo della voce per cui le note medie suonano un po’ vuote e gli acuti stimbrati e poveri di armonici. Limiti però bilanciati in parte dall’intatto rigore stilistico, dal colore elegiaco della voce, dalla coerente aderenza al canone belcantistico, sia pure con una ridotta “polpa” sonora. Negli ultimi anni Maria si chiude nella sua casa parigina, in una solitudine malinconica e austera, sfogliando l’album dei ricordi e rilasciando qualche rara intervista da cui emerge la consapevolezza orgogliosa del suo ruolo storico di cantante.
Muore a Parigi il 16 settembre 1977, a soli 54 anni, per arresto cardiaco, così recita il referto medico. Indagini successive hanno accreditato la diagnosi che la Callas soffrisse di dermatomiosite (patologia degenerativa che causa il progressivo cedimento di muscoli e tessuti) alla quale i foniatri Franco Fussi e Nico Paolillo (2011) hanno imputato il precoce declino vocale e la insufficienza cardiaca.
Soprano drammatico di agilità o di coloratura è l’etichetta con cui i musicologi hanno catalogato il fenomeno vocale Callas. Per semplificare e spiegare meglio: la Callas si riannoda alla tradizione dei grandi soprani di coloratura ottocenteschi, (Giuditta Pasta e Maria Malibran) e a quelli drammatici protonovecenteschi dalla voce brunita ( Claudia Muzio e Rosa Ponselle, che Maria poté ascoltare alla radio), attualizzandone però stile e tecnica con l’ immissione di una calibrata dose di pathos mediterraneo. Gli algidi virtuosismi della scuola belcantistica si animano nel suo canto di uno slancio nuovo, di impeti sentimentali e crepuscolari dolcezze, di vibrazioni emotive sconosciute alle virtuose di ascendenza belliniana, rossiniana e donizettiana. Va chiarito che lo strumento vocale aveva una duttilità ed estensione non confrontabili con altri soprani e le consentiva di eseguire senza battere ciglio le più spericolale acrobazie del canto “fiorito” ottocentesco, (scale, gorgheggi, volate, filature, messa di voce, suoni flautati) ; il tutto sostenuto da un legato impeccabile e da grandi arcate di fiato, almeno fino a quando la voce ha risposto alle intenzioni dell’interprete. Il filologico rispetto delle indicazioni della partitura e lo scavo psicologico del personaggio trovano nella Callas una sintesi ideale nonostante affiorino anche negli anni migliori occasionali asprezze, smagliature e vibrazioni spurie che non intaccano però sostanzialmente la linea omogenea del canto.
Una vocalità sui generis perciò unica, che, se misurata sul canone della levigatezza, pastosità e sensualità del suono (Renata Tebaldi docet), può sembrare in certi ruoli aspra e meno seduttiva di altre voci prettamente “fonogeniche”, impressione che è in ogni caso superata dal surplus di espressività e dal talento scenico-attoriale. Basta pensare alla Traviata del 1955, alla Scala, per la quale sono stati evocati mostri sacri della recitazione come la Duse e la Garbo, ovviamente toute proportion gardée. Merito della Callas, riconosciuto senza contrasti dalla critica, è stato il recupero di opere del repertorio belcantista pressoché dimenticate o di rara esecuzione : Il Turco in Italia e l’Armida di Rossini, nel 1952 al Maggio Musicale Fiorentino, la Medea di Cherubini nel 1953, la Vestale di Spontini, La sonnambula di Bellini, il Poliuto di Donizetti nel 1960 al fianco di uno strepitoso Corelli.
Quanto alla estensione vocale davvero “sopra le righe”, la Callas copriva tre ottave dal fa diesis grave (fa♯2) fino al mi naturale sovracuto(mi5), il che spiega il colore scuro della sua voce in basso con risonanze da mezzosoprano e insieme le brillantezza svettante, adamantina degli acuti da soprano leggero. Per avere un esempio da manuale della “doppiezza” della vocalità callasiana e della solida integrazione dei due registri (drammatico e lirico), basta ascoltare ancora la Traviata del 1955 alla Scala.
In conclusione, una carriera esemplare da prima donna, cronologicamente “corta “, quella della Callas che ha dato il meglio delle sue qualità vocali dal 1948 alla fine degli anni ’50.
Ancora oggi a quasi 50 anni dalla sua morte la Callas è un vitale segno di contraddizione, di vivace interesse e discussioni fra i melomani e musicologi.
Chi volesse avere un saggio della qualità vocali della Callas può attingere alle numerosissime incisioni e registrazioni live disponibili in rete su YouTube fra le quali mi limito a segnalare alcune esemplari:
– Dai Vespri Siciliani di Verdi “Arrigo! ah, parli ad un core”
– Dalla Lakmé di Delibes ” Aria della campanelle”( la cita Montale nel mottetto XIV delle Occasioni)
– La Traviata di Verdi , La Scala 1955

