IN SCENA MA FUORI SCENA… CONVERSANDO CON RAFFAELE CURI… ALLA RICERCA DEL PADRE PERDUTO

di Chiara Montenero
In Copertina: Fotografia di Claudio Porcarelli
Raffaele Curi è un poliedrico artista italiano, noto per la sua versatilità nel mondo dello spettacolo, avendo ricoperto ruoli di attore, drammaturgo, regista teatrale. Ma non solo. Recentemente ha pubblicato una raccolta di poesie dal titolo Occhi blu avrà la notte, edito da Il Cigno, con prefazione del candidato al Nobel, Tahar Ben Jelloun.
Curi ha iniziato la sua carriera come attore sia nel cinema che in teatro. Nei suoi esordi, ha lavorato con registi prestigiosi come Vittorio De Sica e Federico Fellini, apparendo in film come “Il giardino dei Finzi-Contini” e “Casanova” e ha, inoltre, avuto l’opportunità di collaborare con artisti influenti come Man Ray e Gian Carlo Menotti, lavorando come braccio destro di quest’ultimo al Festival dei Due Mondi di Spoleto per quasi vent’anni. Ha anche lavorato come autore per Martin Scorsese, sottolineando la sua ampia gamma di interessi e competenze artistiche.
Attualmente, Raffaele Curi è il direttore artistico della Fondazione Alda Fendi, dove ha ideato diverse performance e installazioni, tra cui la mostra “Is it sundown?“, che esplora il rapporto tra intelligenza artificiale e arte. “La mente intuitiva è un dono sacro. La menta razionale è un fedele servo. La nostra società adora il servo e ha dimenticato il dono.”, queste le sue parole. Questo evento sottolinea il suo impegno nel mondo dell’arte contemporanea e la sua capacità di innovare attraverso diverse forme espressive, ma di Curi hanno parlato tutti. Tutti lo conoscono. Tutti lo hanno intervistato per le più importanti testate nazionali e internazionali. Tutti lo hanno apprezzato in qualsivoglia veste si sia proposto: attore, drammaturgo, I.A. (come lui amava definirsi e che tradotto sta a significare “Ideas’ Maker”). Ma ben pochi sanno che la vita gli ha regalato qualcosa di molto importante e che va oltre il mero successo effimero: parliamo di “padri acquisiti”, perché Raffaele ha perduto il suo quando era molto giovane ed è stato sempre alla ricerca di qualcuno che potesse sostituirlo almeno intellettualmente. E ci è riuscito…
Seduti davanti a due tazze di tè e a un piattino di scones al Babington’s, luogo preferito per i nostri incontri da oltre cinquant’anni, ascolto Raffaele raccontarmi e raccontarsi. È sempre bello e affascinante come quando lo conobbi. Forse il tempo lo ha addolcito. Mi appare più disteso, ma lui dice che trattasi di noia…
Cara Chiara, mi annoio a morte. Roma è noiosissima (a parte qualche rara occasione)! Ricordi quante feste, manifestazioni, defilé, vernissage, negli anni ’80 e ’90? Quei tempi non esistono più, si è tutto appiattito. Ahimè!
Sono d’accordo, ma non solo Roma, è il mondo che è cambiato. Ti ricordi la prima volta che sei entrato qui?
Certamente! Ci venni con tua sorella quando frequentavamo l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’amico. Per starle dietro facevo i salti mortali, in quanto iscritto anche alla facoltà di Lettere e Filosofia che in quegli anni (‘68/’74) era un luogo meraviglioso, dove nascevano grandi idee e ne uscivano grandi persone. (Mi laureai in Storia dell’Arte a pieni voti). Il problema era che dovevo studiare moltissimo e di tempo libero ne avevo poco.
Ma come hai conosciuto De Sica, Man Ray, Scorsese e Menotti?
Partiamo dall’inizio. Io vengo da una cittadina delle Marche e quando il mio papà ci lasciò, la mia famiglia mi avrebbe voluto medico come mio zio. Mi iscrissi quindi a Medicina alla facoltà di Perugia, ma dopo il primo esame di Chimica capii che non faceva per me e mi trasferii a Roma per tentare l’esame di ammissione alla Silvio D’Amico che passai con facilità. Fu proprio allora che per puro caso De Sica mi scelse per il ruolo di protagonista de Il Giardino dei Finzi Contini. Purtroppo, la Titanus impose Lino Capolicchio perché più famoso di me, e mi diede, comunque, un ruolo importante, quello di Ernesto, fratello di Giorgio (Capolicchio). Allora ero troppo giovane e ignaro di quel mondo incredibile. Solo oggi mi rendo conto che fare l’attore non era esattamente ciò che mi aspettavo. L’attore è “maneggiato” mentre io ho preferito “maneggiare” e ho smesso di recitare per dedicarmi all’organizzazione, alle pubbliche relazioni e soprattutto all’Arte.
De Sica fu il mio primo “padre”, a cui debbo moltissimo. Mi insegnò non solo a recitare, ma anche l’umiltà di saper sbagliare per imparare dagli errori fatti.

E Man Ray?
Stavo girando un film in cui interpretavo un giovane erede di una famiglia molto ricca e la scena si svolgeva nella casa di Luciano Anselmino, mercante importantissimo che rappresentava Man Ray, Carol Rama, Andy Wharol.
Anselmino venne poi a Roma per organizzare l’ultima mostra di Man Ray che si chiamava “L’Occhio e il suo doppio” e mi volle come modello. Io, ovviamente accettai e da lì nacque questo “sodalizio” tra me e Emmanuel (questo il suo vero nome). Non volli nulla per la mia performance e lui volle regalarmi l’opera che diede il nome alla mostra e che da allora è appesa nella parete del mio salotto accanto a quella di De Chirico. Era il 1975 e Emmanuel morì l’anno seguente. Fu lui il mio secondo padre perché mi portava sempre con sé e mi considerava la sua mascotte. Mi regalò la tenerezza di cui avevo bisogno e mi insegnò a “vedere” l’Arte e non solo a “guardarla”.

E Martin Scorsese?
Come sai, io sono molto amico del premio Oscar Dante Ferretti, di Macerata, quindi mio conterraneo. Dante è lo scenografo di Martin Scorsese e di solito collabora con lui negli USA, ma Scorsese decise di girare Gangs of New York con Leonardo di Caprio a Roma. Dante mi chiamava spessissimo per mangiare insieme a Cinecittà e per mostrarmi le nuove scene che stavano girando e io mi ritrovavo con lui, con Storaro, e altri a conversare piacevolmente. Un giorno Dante mi venne a trovare e lo invitai a pranzo da Luigi, mio ristorante preferito a Roma, dove incontrammo il mio amico Lorenzo Zichichi, figlio di Antonino, mentore per la fisica al Vaticano, il quale pranzava ogni domenica con Papa Giovanni Paolo II. Improvvisamente mi ricordai che Scorsese avrebbe voluto realizzare un film che fosse una sorta di richiesta di perdono a sua madre, Anna Cappa, che aveva trovato blasfemo il suo L’Ultima tentazione di Cristo. Non ti sto a dire l’entusiasmo di Martin solo all’idea di realizzare il suo film! Anche il Papa in persona avrebbe avuto 3 battute. Cerami scrisse una sceneggiatura e il cast era composto da Sean Connery, Leonardo di Caprio, Peter Gabriel e Riccardo Muti.La sceneggiatura piacque (a me no, ma non lo espressi mai chiaramente) e senza volerlo divenni il capo di un’operazione pazzesca! Mi chiamava chiunque da ogni parte del mondo chiedendomi di sponsorizzare il film, incredibile! A un certo punto il Cardinale O’Connor chiamò da New York il Papa dicendogli che il film non si poteva fare in quanto L’Ultima tentazione di Cristo era considerato troppo blasfemo dal popolo cristiano in America e Scorsese non avrebbe potuto dirigerne un altro pur se con intenzioni diverse. Martin non aveva amato la sceneggiatura di Cerami e decise di farla riscrivere dal gruppo di Casino. Io intanto parlo con Raffaele Donato e gli invio un trattamento con tutto quello che si vede dentro e fuori la Cappella Sistina dove si sarebbero svolte le riprese. Scorsese s’innamora della mia sceneggiatura e mi contatta lasciandomi un messaggio in segreteria telefonica che diceva: “Mr Curi, the screenplay is yours!”.
E Menotti?
Giancarlo è stato il mio vero mentore. Mi ha accompagnato in un mondo dove esisteva solo il Bello: la grande Musica, la grande Arte, il grande Teatro. Con lui ho conosciuto i personaggi che hanno fatto il diciannovesimo secolo. Talenti eccezionali: da Nureyev a Bolle, da Thomas Schippers a Riccardo Muti, da Giorgio Albertazzi a Luchino Visconti. Un uomo straordinario e irripetibile che considero il mio quarto padre per avermi insegnato a saper distinguere la vera Bellezza da quella considerata tale.

Alda Fendi è una donna, come la inserisci tra i tuoi padri eccellenti?
Alda è una sorella maggiore, un faro, una complice, senza di lei non saprei dove andare. Sì, è una donna, ma non lo dimostra!



