LO SPEZIABOLARIO DI PAOLA

di Paola Sansalone
Le spezie hanno avuto un ruolo significativo nella storia, influenzando rotte commerciali, economie e relazioni tra paesi.
Oggi continuano ad essere un elemento importante nella cucina e pertanto nella cultura di molti paesi, rappresentando un mezzo di inclusione e di scambio culturale.
Il seguente articolo può essere sia letto sia scaricato; un semplice omaggio per l’estate, per invitarvi a viaggiare anche in cucina!
Buona estate
Paola
ANICE
Sotto il nome di anice ricadono piante differenti, senza alcuna “parentela” tra di loro, ma accomunate dall’aroma dei loro semi (o frutti) che risultano essere praticamente uguali. Nello specifico:
Anice pepato: è un altro nome del pepe di Sichuan ed il suo sapore non sa né di anice né di pepe
Anice stellato (o badiana): frutto a forma di stella con semi molto aromatici. Viene usato soprattutto per i liquori ed in pasticceria.
Anice verde: è quello “vero e proprio”, dal gusto dolce e penetrante, frutto (non seme) di una pianta erbacea delle Ombrellifere.
L’anice era già noto agli egiziani, ai greci e ai romani: questi ultimi lo utilizzavano nei dolci, soprattutto per “sistemarsi lo stomaco” a fine pasto. Nel Medioevo e nel Rinascimento era molto usato. Oggi viene relegato soprattutto ai dolci, ma lo si trova anche in varie tradizioni regionali insieme alla segale, nel pan d’anice, nella frutta cotta, nelle castagne lesse e nei fichi secchi. In liquoreria lo troviamo nel Pastis e nell’Anisette francesi, nel greco Ouzo, nel turco Arak come anche negli italianissimi Sambuca, Mistrà, e liquore Tutone.
L’anice stellato, invece, – oltre ad essere molto bello a vedersi (provate a metterne alcuni semi in una ciotola a centro tavola) – viene aggiunto agli stufati di pesce aggiungendo una freschezza particolare.
CANNELLA
Il nome cannella deriva da canna, a indicare i pezzi cilindrici che troviamo in commercio. Due sono i tipi di cannella: quella che deriva dalla pianta Cinnamomum zeilanicum – detta anche cannella vera o regina di Ceylon – è più pregiata, dal colore nocciola chiaro, aroma delicato e odore molto aromatico; e poi la Cinnamomum cassia – detta anche cannella cinese o cassia – dal colore bruno rossastro e gusto più pungente. In entrambi i casi, la spezia si ricava dai ramoscelli delle piante di cui sopra: si staccano gli strati immediatamente sotto la corteccia e si fanno seccare al sole fino a quando non si arrotolano su sé stessi.
La cannella è molto apprezzata fin dai tempi antichi: molto probabilmente i Fenici la portarono nel Medio Oriente dove venne utilizzata come profumo (nel Vecchio Testamento leggiamo di Mosè che la usava come ingrediente nell’olio per le consacrazioni).
In cucina la cannella trova impiego soprattutto per aromatizzare i dolci (per esempio, panpepato, panforte, pan di spezie) o anche per aromatizzare creme e vin brûlé. Ma la troviamo anche nella frutta cotta, nella cioccolata, nei liquori e anche in alcune ricette a base di carne. Per i dolci si usa la cannella macinata, negli altri casi intera. Ricordatevi che è sempre meglio acquistare la cannella in pezzi e macinarla al momento dell’utilizzo (servendovi di un macinacaffè, per esempio), in modo da conservarne tutto l’aroma. Se non la trovate in pezzi, ma solo in polvere, ricordatevi di conservarla in barattoli di vetro chiusi, così da non far disperdere la fragranza; anche i pezzi di cannella è bene conservarli in barattolo, lontano da luce diretta e fonti di calore.
CARDAMOMO
Il cardamomo è il seme di una pianta erbacea: la migliore varietà è quella delle foreste pluviali del Malabar (Kerala in India), ma è coltivato anche in Sri Lanka, Thailandia e America Centrale. La pianta può raggiungere i due metri di altezza e ha dei bei fiori screziati di azzurro e giallo.
Il cardamomo era conosciuto già nel III millennio a.C. e tanto i greci quanto i romani lo utilizzavano nella preparazione dei profumi. Nella nostra tradizione culinaria è poco usato. In genere viene utilizzato per insaporire dolci, insaccati, pane e pasticcini; i tedeschi lo usano per insaporire i lebkuchen, biscotti tipici del Natale. Interessante l’usanza del mondo arabo: lì, infatti, il cardamomo viene aggiunto al caffè sia perché riduce gli effetti della caffeina sia in segno di ospitalità, dal momento che, come scrivevamo, è una delle spezie più care. Se lo acquistate, prendetelo in capsule intere – di color verde – e poi, al momento dell’utilizzo, apritele e usate i semini che trovate all’interno. È, questo, l’unico modo per conservarne l’aroma che è molto volatile. Se invece volete acquistarlo in polvere, annusatelo prima: se percepite qualche sentore di canfora, sappiate che vi stanno vendendo non il vero cardamomo, ma un sostituto più economico.
CARVI
Il carvi – o cumino dei prati, cumino tedesco o anice dei Vosgi – è una pianta originaria delle zone orientali del Mediterraneo e oggi diffusa nei pascoli dell’Europa centrale. Spesso viene confuso con il cumino per via della somiglianza dei frutti ma è diverso da questo per via del gusto più aromatico. Il suo aroma non è gradito a tutti, ma utilizzato a piccole dosi dà alle pietanze un gusto molto gradevole. Viene usato sempre di meno, comunque, soprattutto in Oriente, perché si dà maggiore importanza al cumino. Conosciuto fin dagli antichi romani si riteneva che ogni cosa che contenesse del carvi non potesse fuggire e per questo motivo lo si dava da mangiare ai piccioni che, in questo modo, non si sarebbero dispersi. Si diceva che se una donna avesse messo del carvi nelle tasche del marito questi non avrebbe mai e poi mai distolto il cuore da lei (funzionerà anche nel caso in cui è l’uomo a mettere il carvi nella borsetta della moglie?). Lo si riteneva utile nella cura dei morsi di serpenti, nella prevenzione della caduta dei capelli e come coadiuvante nei disturbi della vista. Lo si usa molto nella cucina tedesca, austriaca e scandinava per aromatizzare dolci, patate, pane, crauti, formaggi, cavolo fresco, frutta, insalate, carni (in particolare arrosto di maiale e gulasch). Nella cucina norvegese il carvi rientra nella preparazione delle minestre. Nella cucina mediorientale ne usano I semi macinati, che sono uno degli ingredienti del curry.
CHIODI DI GAROFANO
I chiodi di garofano – che non hanno nulla a che vedere con i fiori di garofano, ma sono boccioli essiccati di una pianta sempreverde originaria dell’Indonesia e nella forma ricordano i chiodi – sono giunti in Europa nel IV secolo ed ebbero molto successo con l’ingrandirsi del mercato delle spezie, soprattutto dopo le crociate. Sono diffusi anche oggi in cucina, ma in modo limitato e vengono usati soprattutto come aromatizzanti. Pochi chiodi di garofano danno buon sapore a brasati, stracotti, marinate, bolliti e alle verdure sott’aceto. Spesso vengono picchettati (cioè infilzati) in una cipolla intera. Ricordatevi, comunque, di usarne a piccole dosi. Potete utilizzare i chiodi di garofano anche per profumare stanze o armadi: infilateli in un arancio che poi appenderete nel guardaroba o, se preferite, appoggiate l’arancio sul termosifone acceso. Visto che tengono lontani gli insetti potete metterne alcuni dove tenete la pasta, in modo che si conservi più a lungo. Il chiodo di garofano è considerato anche il re degli antiossidanti. Vengono anche utilizzati per alleviare il mal di denti (ma questo non significa che se usate il chiodo di garofano non dobbiate poi rivolgervi al vostro dentista). Considerato il loro aroma molto pungente, conservateli in barattoli di vetro ben sigillati.
CORIANDOLO
Il coriandolo – coriandrum sativum – è conosciuto anche come cilantro. Il nome viene dal greco korios (cimice) dal momento che i frutti acerbi avrebbero un odore simile alla cimice (da qui il nome di erba cimicina per le foglie). Del coriandolo si usa tutto: foglie, gambi, semi e frutti. È una spezia molto usata nella cucina asiatica e latinoamericana. Da noi non è molto diffuso e lo si trova in semi o macinato (anche come ingrediente del curry e del garam masala). Oltre che in cucina trova uso anche in erboristeria contro i dolori di stomaco e le emicranie e come coadiuvante della digestione. Oltre che con la carne di maiale, io lo uso con la zucca e in diverse marinate per la carne; va bene anche nel court-bouillon per i crostacei. Il mio consiglio è di acquistarne i semi e di macinarli al momento, in modo da poter far sprigionare il profumo dolce e aromatico e gusto fresco e gradevole. Se desiderate esaltarne il profumo, potete tostare alcuni semi in un padellino sì che possa dare il suo meglio. Provatelo per condire una crema di verdure a base di cipolle, carote, porro e pomodori e otterrete un piatto strabiliante.
CUMINO
Il cumino è originario del Medio Oriente e cresce bene su qualsiasi terreno sabbioso, ricco e ben drenato e, soprattutto, soleggiato. I frutti – comunemente (ma erroneamente) chiamati semi – sono simili a piccoli granelli secchi, dalla forma oblunga e dal colore bruno opaco. Esiste sia il cumino bianco, che quello nero (quest’ultimo ha un sapore più sottile, è più caro ed è più difficile da trovare). Il cumino ha un profumo caldo e intenso e il sapore è leggermente piccante. Quando lo acquistate prendetene piccole quantità, perché in polvere non si conserva benissimo; l’ideale sarebbe prendere i frutti, ma, visto che sono difficili da schiacciare, procuratevi anche un macinino. Attenzione a non confonderlo con il carvi: a differenza di questi, il cumino ha il seme più piccolo e meno incurvato. Nella nostra tradizione culinaria non è molto usato (anche se i romani lo riducevano in pasta da spalmare sul pane). Generalmente viene utilizzato nei crauti, nei sottaceti e salamoie; nella preparazione del garam masala, del cous cous e del curry; insieme a carni (specialmente l’agnello), yogurt e formaggi. In alcune zone è usato nella preparazione del pane. In maniera molto limitata si utilizzano le foglie (mischiandole soprattutto alle insalate). Lo si usa anche per la preparazione di liquori, tra cui il Kümmel, che ha un gusto dolce (anche per la presenza del finocchio) e viene usata come digestivo o dopocena soprattutto in Germania, nei Paesi Bassi e in Russia.
LA CURCUMA
La curcuma – detta anche zenzero giallo per via del colore e perché appartiene alla sua stessa famiglia – è una spezia tipica dell’India (dove se ne producono circa dodicimila tonnellate l’anno, la maggior parte delle quali sono destinate all’esportazione) e del sud est asiatico, dell’Etiopia e dell’Africa settentrionale in generale. La si trova in commercio sotto forma di radice o, più frequentemente, in polvere. Le radici vengono bollite, seccate, pelate e quindi macinate per dare origine alla classica polvere in vendita. Quando la acquistate fate attenzione al colore: deve essere di un bel giallo, se è di un giallo smorto vi stanno vedendo della curcuma vecchia che avrà anche un sapore amarognolo e terroso. Spesso viene usata come sostituto dello zafferano perché dona ai piatti un colore simile allo zafferano e costa molto di meno: il sapore, tuttavia è diverso e il profumo dello zafferano è più deciso.La curcuma è uno degli elementi base del curry; la si usa anche per condire riso, patate, biscotti e torte; viene utilizzata anche nella salsa Worcester. La si usa anche per colorare mostarde, burro, formaggi, bevande varie e sottaceti. Si sa che il curry è una miscela di spezie ma esistono anche le foglie di curry: si tratta delle foglie della pianta Murraya Koenigii, piccolo arbusto sempreverde, originario dell’India, Pakistan e Sri Lanka. Da noi si trovano in commercio – e nemmeno tanto facilmente – solo le foglie secche, che, purtroppo, hanno perso quasi tutto il sapore. Si trova anche la polvere di foglie di curry.
NOCE MOSCATA
La noce moscata – il cui nome scientifico è Myristica fragrans – è il seme di un albero originario delle isole Molucche (Indonesia) che, debitamente essiccato al sole, viene utilizzato in diversi modi in cucina. È ideale su besciamella, fonduta, frutta cotta, spinaci (anche con la ricotta per riempire i ravioli o altri tipi di pasta), purè di patate o per arricchire il punch e il vin brulè (in quest’ultimo caso vengono sfruttate al meglio le proprietà corroboranti, digestive, antisettiche della noce moscata). Una nota: è sempre bene usare la noce moscata grattugiata al momento perché il suo aroma si perde facilmente. Della noce moscata non si butta via niente, potremo dire. Infatti il rivestimento carnoso che ricopre il seme (la buccia, insomma) viene utilizzato per produrre il macis che ha un sapore molto più delicato della noce moscata (ed è anche più difficile da trovare, anche se, nei negozi specializzati, è presente sia sotto forma di pezzi che in polvere – meglio prendere, comunque, i pezzi da ridurre in polvere alla bisogna). Il macis è uno dei componenti del garam masala, ma lo si può usare anche per aromatizzare la frutta cotta, i dolci e la carne.
PEPE
il pepe è fondamentale per dare quel saporino tutto speciale alle pietanze. Il pepe lo conosciamo tutti e, bene o male, è usato in tutto il mondo. Vediamo un po’ da vicino i vari tipi di pepe (in ordine alfabetico), questa spezia che per i romani era la più cara di tutte.
•bacche rosa e mix di grani di pepe: se volete provare il sapore “completo” del pepe ricorrete a questo mix di bacche rosa, pepe verde, nero e bianco. Ottimo per la carne. Da usare obbligatoriamente con il macinapepe;
•bacche rosa secche: sono il frutto della pianta del cosiddetto falso pepe (Schinus molle) e non hanno un sapore piccante; conferiscono ai piatti un delicato sapore che può ricordare il pino. Si sposano benissimo con le salse a base di panna;
•pepe bianco: se i grani di pepe appena raccolti vengono messi subito in ammollo e poi decorticati prima di essere messi ad essiccare produrranno il pepe bianco. Rispetto al pepe nero ha un gusto più intenso, anche se la nota pepata è meno definita. Si usa sul pesce, sui frutti di mare e in combinazione con l’aglio;
•pepe di Sichuan secco: è un altro falso pepe. Si tratta della bacca di un arbusto della famiglia del frassino. Prima di usarlo, fatelo tostare a secco, sì da sprigionare tutto l’aroma. È ottimo nei soffritti e nelle pastelle e, insieme a un po’ di sale, sta benissimo sui fritti in genere;
•pepe in salamoia: tanto le bacche rosa che il pepe verde vengono spesso conservate sotto aceto o in salamoia, assumendo, così, un sapore leggermente acidulo. Provate il pepe in salamoia nelle salse a base di panna o in qualche dolce: ne rimarrete ammaliati;
•pepe nero: si tratta, probabilmente, della varietà più diffusa; i grani di pepe vengono raccolti ancora verdi e si lasciano essiccare al sole. Da usare in mille modi, soprattutto sulle carni rosse e con pesci grassi, come, per esempio, salmone e sgombro. Per mantenerne intatto l’aroma è meglio comprare i grani interi e macinarli all’occorrenza;
•pepe verde fresco: nei negozi di gastronomia asiatica potete trovare i grappoli di pepe verde fresco. L’aroma del pepe verde fresco è più volatile di quello secco; si conserva in freezer. Sta benissimo insieme al curry e ai soffritti;
•pepe verde secco: i grani di pepe verde sono le bacche di una pianta tropicale, raccolte prima della maturazione (da quelle mature si ricava, poi, il pepe bianco o nero a seconda della lavorazione). Il pepe verde aromatizza salse e marinate e il suo sapore fresco sta benissimo con gli agrumi, i formaggi e i pomodori.
PEPERONCINO
Il peperoncino – al pari del pepe – è molto noto e usato in mille modi in cucina. Fu portato in Europa dagli esploratori spagnoli che tornavano dall’America del Sud e ora è coltivato in tutto il mondo. Stando agli studiosi il peperoncino era coltivato e usato in America centrale e meridionale già novemila anni fa. Al peperoncino si riconoscono moltissime proprietà: alcune sono effettivamente reali, altre frutto di leggende metropolitane. Quello che è certo è che in cucina il peperoncino è un must in diversi piatti ed esalta il sapore dei cibi. In Italia le cucine regionali che ne fanno più uso sono quella abruzzese, calabrese, campana, lucana e pugliese.
La piccantezza dei peperoncini è misurata secondo la scala Scoville (SHU – Scoville Heat Units) che è basata sul contenuto di capsaicina (l’alcaloide che conferisce il caratteristico gusto piccante al peperoncino) nel prodotto secco. Il nome della scala deriva da Wilbur Scoville (1865 – 1942), chimico statunitense che per primo ha sistematizzato i vari gradi di piccantezza.
IL SESAMO
Il sesamo è una delle prime spezie conosciute: veniva usato in Egitto cinquemila anni fa e in India veniva coltivata per il commercio fin dal 1600 a. C. I semi possono essere di color crema o neri: quelli color crema sono i più diffusi e hanno un vago sapore di noce che può essere intensificato dalla tostatura; quelli neri hanno un gusto un po’ terroso ma parimenti piacevole.
La maggior parte del sesamo chiaro viene utilizzato per l’estrazione di un olio dal gusto delicato che può essere un valido sostituto del burro nei piatti (se lo acquistate, scegliete quello estratto a freddo). La restante produzione viene usata soprattutto per salse e dolci da Forno. Da noi non è molto usato, a dire il vero: lo troviamo sul tipico pane palermitano e sui dolcetti. È molto buono sulla carne di tacchino e, se mischiato con il sale, da origine al gomasio, che può essere utilizzato come condimento al posto del sale. Può essere usato anche su salse al formaggio, con verdure e in alternativa al pane grattugiato sui tortini di pesce.
SOMMACCO O “SUMAC”
Il sommacco – o sumac – è la spezia ricavata dai frutti essiccati e macinati della pianta del sommacco. Esistono due tipi diversi di sommacco: quella mediorientale Rhus coriaria, conosciuta come sommacco siciliano, e quella nordamericana Rhus aromatica. In totale sono oltre duecentocinquanta le specie di sommacco conosciute e alcune di queste sono velenose! Pertanto fate attenzione a non confonderle tra loro; non usate a fini culinari il sommacco ornamentale. Il colore del sommacco è un intenso porpora e ha un gusto agro, simile a quello della buccia di limone grattugiata. Trova vasto impiego nella cucina araba (il nome deriva dall’arabo summāq) e mediorientale, in particolare libanese e curda; in Turchia viene aggiunto all’hummus sia per arricchire l’aroma sia a mero scopo decorativo. Lo si aggiunge a piatti a base di pesce e carne, lo si mescola alle cipolle affettate e anche nella preparazione di qualche bibita. I frutti possono essere usati anche freschi: vengono spezzati e tenuti in ammollo in acqua per circa un quarto d’ora, quindi si estrae il succo che accompagnerà le verdure; in alternativa vengono cotti in acqua per creare una sorta di salsa molto densa che si usa sempre con le verdure. Sposa benissimo anche con le lenticchie e il pollo.
Nel libro di cucina Kitab al-Tabikh, scritto nel 1226 da Muhammad bin Hasan al-Baghdadi figura una zuppa al sommacco.
ZAFFERANO
Narra Ovidio che il bellissimo giovane Croco amava intensamente la ninfa Smilace ma gli dei, invidiosi di questa passione, lo trasformarono in un fiore – il croco, appunto – dal cuore rosso. Un altro mito racconta Mercurio uccise per errore Croco e il suo sangue andò a tingere gli stimmi dei fiori: in questo modo Croco, anche se morto, sarebbe vissuto per sempre. Crocus sativus è il nome del fiore dal quale si origina lo zafferano, spezia preziosa.
Ma le leggende non riguardano solo la nascita dei fiori, ma anche quella dei piatti a base di zafferano. Sapete come è nata la bouillabaisse, celeberrima zuppa di pesce della cucina francese? Sembra che Venere in talune occasioni cucinasse per suo marito, il dio Vulcano, una straordinaria zuppa di pesce allo zafferano, talmente buona e appagante che alla fine del pasto Vulcano si addormentava placido… e Venere se ne andava tranquilla tra le braccia del suo amante Marte! E il risotto alla milanese? Secondo una tradizione nel 1574 Valerio di Fiandra, maestro vetraio fiammingo, stava usando dello zafferano per colorare le vetrate del duomo di Milano. Durante il pranzo nuziale della figlia, tra le portate comparve un piatto di riso colorato proprio con lo zafferano: nessuno sa se si sia trattato di uno scherzo o di un errore, ma piacque a tutti tanto che rapidamente si diffuse in tutta la città e oltre. Questo nascere di leggende tanto intorno alla nascita del fiore Crocus sativus che intorno ai piatti evidenzia una realtà: la preziosità e la bontà dello zafferano che, con il suo splendido colore rosso-arancione e la particolarità del suo sapore definito dagli intenditori “simile al miele, con note erbose di fieno, metalliche e con una punta di amaro”, è presente in moltissime pietanze. Come preziosità, lo zafferano è secondo solo alla vaniglia. Ma perché è così prezioso? Per produrre un chilo di zafferano occorrono circa centocinquantamila fiori! E il procedimento di raccolta dei fiori ed estrazione degli stimmi è tutto fatto a mano. È per questo che lo zafferano vero costa molto; se in commercio lo trovate a prezzo basso, sappiate che state acquistando un prodotto non originale (potrebbe essere il cosiddetto zafferanone o anche potreste avere dello zafferano vero ma adulterato con della curcuma). Per fortuna serve pochissimo zafferano nella preparazione dei piatti.
In cucina lo si utilizza in diverse preparazioni: oltre al risotto alla milanese e alla bouillabaisse, lo troviamo nella paella e nei dolci allo zafferano; si sposa benissimo con il pesce in generale e con i gamberetti in particolare, come anche al riso e a varie salse; con le zucchine e il sugo di pomodoro; è usato anche nei liquori, come, per esempio, lo Strega. In commercio trovate sia lo zafferano in stame che in polvere: in entrambi i casi è bene diluirli in acqua prima di usarli. Se usate lo zafferano in stamI, spezzettate gli stami in un po’ di acqua calda, quindi filtrate il liquido e aggiungetelo alla pietanza secondo le indicazioni della ricetta. Se volete potete passare gli stami in forno e farli seccare per poi sbriciolarli direttamente sul piatto.
ZENZERO
La pianta dello zenzero è originaria dell’Asia tropicale, ma oggi viene coltivata anche in altre zone, soprattutto in Giamaica. In cucina si usa soprattutto la radice, fresca o essiccata; ma sono utilizzati anche i germogli, le foglie e le infiorescenze. La radice di zenzero fresca va prima spellata e poi tagliata a fettine sottili; quella secca la si grattugia, sempre dopo averla spellata. In commercio si trova anche la polvere di zenzero: tenete presente, però, che l’aroma tendere a svanire abbastanza in fretta; la soluzione migliore è comprare lo zenzero fresco e macinarlo all’occorrenza. Il sapore è pungente e piccante, ma non aggressivo e si può usare in moltissime preparazioni: dolci, carne, pesce, verdure, zuppe, riso, insalate.
LE MISCELE
CURRY
Anche se considerato una spezia, il curry è una miscela di spezie. Propriamente una miscela piccante, con mille e mille varianti in India, Indonesia, Malaysia e Thailandia, tanto che pare che ogni famiglia abbia la propria versione che tramanda di generazione in generazione. La versione classica è piccante, mentre quella più addolcita prende il nome di garam masala. Il curry standard diffuso in Europa è una imitazione di quello originale: una versione addomesticata al gusto occidentale, con presenza di curcuma (per il colore dorato), peperoncini, pepe, coriandolo, cumino (e altre aggiunte come, per esempio, fieno greco, zenzero, senape, basilico, zafferano, noce moscata, chiodi di garofano, cannella e via dicendo).Il curry va aggiunto ai piatti a fine cottura, mai all’inizio: mentre noi lo utilizziamo come una spezia tra le altre versandolo sulle pietanze – per esempio, stufati di carne, pesce o verdure –, in India si preferisce creare una salsa a base di curry, più adatta agli stufati. Si trova anche una versione tipo “besciamella”, in cui la polvere di curry è legata con latte di cocco o con yogurt bianco denso.
GARAM MASALA
Il garam masala è un composto di spezie. Il suo nome vuol dire spezia calda, bollente. Può venire usato durante la cottura ma spesso viene aggiunto al termine, così da non disperderne l’aroma. Il sapore è pungente, anche se non proprio piccante, e dona un sapore unico ai piatti, fossero anche delle semplici verdure stufate. Lo si trova in commercio, ma possiamo farlo anche da soli, in modo da poterci regolare con il sapore e aggiustarlo a nostro gusto. Occorrono: 50 gr di semi di coriandolo, 50 gr di frutti di cardamomo verde, 25 gr di semi di cumino, 25 gr di pepe nero in grani, 7-8 chiodi di garofano, 1 stecca di cannella, 1/2 noce moscata. Pestate i frutti di cardamomo in un mortaio ed estraete i piccoli semi; sbriciolate la cannella. Tostate tutte le spezie separatamente per un paio di minuti. La noce moscata non va tostata. Dopo la tostatura polverizzate le spezie con un macinino o un mortaio. Il garam masala è pronto e viene conservato in un contenitore ermetico non trasparente.
PAPRICA
La paprica o paprika,anche se può stupirvi, non è altro che una miscela di peperoncino, o meglio la polvere ottenuta dalla macinazione dei frutti secchi, di una delle moltissime tipologie di peperoncino che esistono nel mondo.
I peperoncini utilizzati sono aromatici e dal gusto dolciastro, privi di piccantezza. Il colore va dal rosso-arancione al rosso porpora con toni bruni. Ne esistono due tipi: la paprica dolce e la paprica forte, anche se l’aggettivo si riferisce al colore e non alla piccantezza che è la stessa, cioè quasi nulla. Originaria dei Paesi asiatici, la paprica si è diffusa in tutto il mondo e nel Mediterraneo fino ad arrivare a noi, ma in tempi piuttosto recenti. In termini botanici la paprica fa parte della grande famiglia delle Solanacee, ovvero dei peperoni e in particolare della specie Capsicum annuum, anche se nel mondo c’è un po’ di confusione sull’argomento.
ZAATAR
Lo zaatar è una miscela di spezie originaria del medio oriente. Il termine arabo zaʿtar si riferisce ad alcune piante locali della famiglia delle Lamiaceae, tra le quali maggiorana, sommaco, origano e timo.
Lo zaatar è una mistura di spezie tradizionalmente composta da timo, sesamo e sale. Ma può anche includere origano, cumino, semi di finocchio, santoreggia, maggiorana, sommacco, issopo. Come per molte miscele orientali di spezie ogni famiglia ha la sua ricetta. Si conserva sott’olio, sotto sale, o fatta essiccare al sole. Non avendo un sapore molto forte nè caratterizzante lo si può aggiungere praticamente su ogni cosa, molto buono sulla pita calda con olio extra vergine, buonissimo con i formaggi freschi, sull’ humus e volendo anche sulle carni.
Paola Sansalone insegna cucina presso la propria scuola TrusteverTastes nel cuore di Trastevere a Roma.
www.trustevertastes.org Piazza di Santa Apollonia 3 Roma – Telefono: +393406303193