QUANDO IL TEATRO POPOLARE ERA RITO CIVILE

di Pino Ammendola
La stagione teatrale, ahimè, è finita, per fortuna insieme alle piogge che ci hanno tormentato nei mesi passati, lasciandoci però, in questo bel sole di giugno completamente ‘orfani’ di spettacoli da segnalare! Così ho pensato di raccontarvi di un cult teatrale a cui sono particolarmente legato, il Masaniello di Elvio Porta e Armando Pugliese, con le musiche originali di Roberto de Simone. Correvano i lontani e meravigliosi anni ’70, che non erano solo plumbei, ma anche pieni di straordinario fervore creativo e soprattutto di un nuovo odore di libertà. Nel vivace e turbolento panorama teatrale italiano esplode un’altra bomba, che per fortuna sconquassa solo il grigiore delle prime paludate e la compostezza dei vecchi abbonati addormentati sulle poltrone rosse, è lo spettacolo Masaniello,ideato dal mio grande amico Elvio Porta (lo sceneggiatore di “Mi manda Picone” e di “Caffè express”) e scritto insieme ad Armando Pugliese che ne cura anche la regia. La pièce si impone come un’esperienza unica: uno spettacolo che fonde rigore storico, partecipazione popolare e tensione civile, trasformando la scena in un luogo di condivisione e protesta. Masaniello debutta nell’estate del 1974 e diventa rapidamente un caso teatrale nazionale e internazionale. Al centro della scena, la figura del pescatore napoletano Tommaso Aniello d’Amalfi, detto Masaniello, che nel 1647 aveva guidato la grande rivolta popolare contro il potere spagnolo. A incarnarlo, un giovane attore di straordinario talento, Mariano Rigillo, capace con il suo vitalismo, di restituire al personaggio tutta la sua forza tragica e visionaria, consegnandolo per sempre all’immaginario collettivo. Ci troviamo di fronte a un racconto antico, che però parla al presente, Il valore dell’opera infatti non risiede solo nella sua ricostruzione storica, ma nella capacità di attualizzare la vicenda seicentesca, rendendola specchio delle tensioni sociali di quel difficile momento, la figura di Masaniello si trasforma così in simbolo collettivo, in archetipo della ribellione popolare contro ogni forma di oppressione. La drammaturgia rifugge qualsiasi tono epico o celebrativo, al contrario, il testo è asciutto, diretto, radicato nella realtà dei fatti, ma al contempo attraversato da una gioiosa energia teatrale che rievoca le feste di piazza, le processioni popolari, le sceneggiate. È un teatro che vive nel presente, che non racconta da lontano ma coinvolge, scuote, chiama all’appello! Uno degli aspetti più innovativi e sorprendenti del Masaniello è proprio il rapporto con il pubblico. Gli spettatori non sono più semplici osservatori, ma partecipano emotivamente e fisicamente allo spettacolo. Il mio ricordo personale è di alcune serate in cui il pubblico si lasciava talmente travolgere dall’entusiasmo, che arrivava a insultare i tiranni spagnoli (i personaggi negativi, i cattivi insomma), con epiteti assolutamente irripetibili e quando il pescatore Masaniello, per bocca del geniale Rigillo chiedeva agli astanti chi fosse meritevole di morte, nella foga della rabbia teatrale gli spettatori gridavano i nomi di politici del tempo, come se la scena fosse diventata improvvisamente un tribunale popolare. In quei momenti, il teatro si trasformava davvero in rito civile, in uno spazio di sfogo e riflessione collettiva, dove passato e presente si intrecciavano senza soluzione di continuità. Anche la messa in scena rompeva con tutte le regole del teatro tradizionale. Niente palco fisso, niente platea ordinata. La scena era composta da pedane mobili, spinte dagli attori che si muovevano tra il pubblico. Le azioni si svolgevano tutte in contemporanea, in un ambiente modulare, vivo, oggi diremmo fluido! L’approccio ricordava sicuramente le sperimentazioni di Luca Ronconi (di cui Armando Pugliese era stato aiuto nell’Orlando furioso), ma qui l’impronta era profondamente urbana e popolare. Non a caso, Masaniello veniva rappresentato non nei teatri canonici, ma in spazi carichi di significato simbolico: loggiati, spiazzi abbandonati, quartieri popolari, fino alla celebre rappresentazione del 1975 in Piazza Mercato a Napoli, lo stesso luogo in cui la vera rivolta storica aveva avuto inizio. Un altro elemento fondamentale era la musica di Roberto De Simone, che non si limitava a fare da sfondo ma era parte attiva della narrazione. Suonata e cantata dal vivo, la partitura accompagnava e amplificava le emozioni, diventando una sorta di linguaggio teatrale autonomo. Il successo di Masaniello fu immediato. Lo spettacolo restò in cartellone per ben quattro stagioni, toccando le maggiori città italiane, approdando anche all’estero con una accoglienza osannante, nonostante le barriere linguistiche. Perché Masaniello comunicava attraverso la forza espressiva, l’energia, i gesti, la coralità della lingua napoletana e parlava direttamente al cuore dello spettatore, senza bisogno di traduzioni.
A cinquant’anni dal debutto, Masaniello resta un esempio vibrante di teatro politico e partecipato. Un’opera che ha saputo unire l’urgenza civile con la potenza estetica, la memoria storica con il presente. Masaniello ci ricorda che il teatro può ancora essere luogo di resistenza e rito civile e oggi, credetemi è più necessario che mai rispondere a tutte le stimolazioni che ci aiutino a pensare autonomamente e a mantenere alta la guardia nella difesa dalle sopraffazioni del potere!
Voglio concludere con una nota che mi fa ben sperare per il futuro. Dopo quasi mezzo secolo l’opera è in riallestimento con la stessa regia e le stesse musiche, ma evidentemente con un nuovo cast, che contempla nel ruolo del protagonista, un attore giovane ma ormai di consolidata esperienza e che ha già dato prove di altissimo valore: Ruben Rigillo il figlio di Mariano Rigillo, l’interprete originale, che si cimenterà in questa straordinaria sfida umana e artistica e siamo sicuri che la vincerà restituendoci uno spettacolo popolare e politico, che tanto ci fece sognare nella nostra giovinezza e che ci auguriamo stimoli e faccia sognare allo stesso modo i giovani di oggi!

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