UMBERTO BOCCIONI – VIVA IL PROGRESSO!

di Irene Niosi


Tra i futuristi merita una menzione speciale Umberto Boccioni, (Reggio Calabria, 19 ottobre 1882 – Sorte, Verona, 17 agosto 1916) il primo a sentire l’esigenza di aprire a valori nuovi che ricerca fuori dall’Italia nel fervore di rinnovamento della pittura europea, soprattutto quella francese. Nel 1899 si stabilisce a Roma manifestando uno spiccato interesse per la pittura e per la letteratura. Insofferente agli studi accademici, si iscrive alla Scuola Libera del Nudo dove prende lezioni di disegno. Durante il periodo romano, studia grafica e frequenta la scuola di Giacomo Balla, stringendo amicizia con Mario Sironi, Gino Severini e Duilio Cambellotti. A Parigi nel 1906, l’anno in cui inizia un lungo viaggio di formazione, entra in contatto con Cezanne, Van Gogh e Toulouse Lautrec.

Umberto Boccioni  “La città che sale” 1910 olio su tela 199,3 x 301 cm, New York, MoMA
Umberto Boccioni 
“La risata” 1911, olio su tela 110,2 x 145,4 cm, New York MoMA 


 In questa parentesi parigina durata qualche mese, la sua pittura consolida lo stile impressionista plasticamente strutturato che personalizza introducendo una marcata scansione dei piani, con una tavolozza arricchita da toni più accesi negli incarnati. Visita Mosca e Pietroburgo, Varsavia e Vienna. Al suo rientro in Italia passa da Padova, si ferma a Venezia, la cui atmosfera lagunare lo affascina e lo spinge ad approfondire gli aspetti della luminosità e dei suoi effetti. A Milano, in cui si stabilisce definitivamente, allarga la sua sete di ricerca, si avvicina alla grafica di Kathe Kollowitz e di Aubrey Beardsley, ammira le opere di Gaetano Previati e parallelamente approfondisce lo studio di Edvard Munch.  Nel febbraio 1910, dopo aver conosciuto Filippo Tommaso Marinetti, insieme a Balla, Severini Carrà e Russolo firma il Manifesto dei Pittori Futuristi.

Umberto Boccioni Dinamismo di un cavallo in corsa + case. Venezia Collezione Peggy Guggenheim, Solomon R. Guggenheim Foundation
Umberto Boccioni 
” Forme uniche nella continuità dello spazio” 1913, bronzo 126,4x89x40,6 cm, Milano Museo del Novecento

La città che sale” del 1910, oggi al MoMA di New York, è considerato dalla critica il suo primo capolavoro futurista, in cui vengono esaltati i valori della civiltà moderna, la città industriale con il lavoro nei cantieri e nelle fabbriche, come a “erigere un nuovo, vibrante e dinamico altare alla vita moderna.” In questa monumentale tela, dove tutta la composizione viene trattata come materia dinamica in espansione, il cavallo diventa il simbolo della forza fisica e del lavoro. Si distinguono tre cavalli, i due in primo piano si scontrano in un insieme di movimenti vorticosi e tumultuosi che Boccioni realizza attraverso la cosiddetta tecnica delle campiture, la stesura di un primo strato di colore uniforme impresso sulla tela che serve per ottenere effetti ottici diversi.

Prima dell’adesione al futurismo, la sua pittura permeata dal post-impressionismo è anche influenzata dal movimento simbolista, “Rissa in galleria” del 1910, che si trova a Brera ne è una felice testimonianza. Sono dello stesso periodo anche le opere dedicate agli stati d’animo in cui inizia a spezzare   la forma e ad abbassare il colore, quando Boccioni appoggia la causa futurista in cui si teorizzano temi come la velocità, il dinamismo e la simultaneità. Nel ciclo delle opere che intitola “Stati d’animo” del 1911, Boccioni, artista tormentato, svela il suo temperamento drammatico con lo straordinario trittico, del MoMA di New York, “Gli Addii, Quelli che vanno, Quelli che restano”. Fedele ai principi fondamentali del futurismo, perseguirà però sempre una sua originale interpretazione oscillando tra due poli di grande riferimento per la sua poetica, dove a volte prevarrà   il cubismo, a volte l’espressionismo. In un altro dipinto dello stesso soggetto, sempre del 1911 dal titolo “Quelli che vanno” conservato a Palazzo Reale di Milano, azzera quasi  il figurativo attraverso tratteggi di  linee di colori scuri da cui emergono  oggetti, spezzoni di case, oggetti decomposti e non identificabili  e un unico  volto di uomo  che osserva. L’assunto futurista dell’aerodinamicità, intesa come un concetto artistico di simultaneità linguistica e spaziale, è tradotto magistralmente da Boccioni in una sintesi in cui ogni residuo figurativo-simbolico viene sconvolto attraverso vortici corposi di colore che vanno a schiarirsi nelle convessità.

Umberto Boccioni “Elasticità” 1912, olio su tela 100×100 cm, Milano, Museo del Novecento

Con “Elasticità” del 1912 del Museo del Novecento di Milano, ci troviamo di fronte a un autentico capolavoro: attraverso la composizione e la scomposizione degli elementi trattati, la cui resa è affidata alla tavolozza, costruzioni, cielo, polvere, corpi hanno un loro proprio colore con linee-forza di campiture curvilinee o angolate o a spirale che passano in alto da azzurri a verdi, mentre al centro prevalgono i rossi e in basso si fanno gialli. L’aspetto più rilevante di quest’opera è il passaggio del cavaliere sul suo cavallo che travolge tutto quello che incontra, il simbolo del cavallo in movimento viene via via trasformato in perfetta esaltazione della fusione della forma in un’unità che si decompone e si ricompone di continuo nell’istante della visione, è la vitalità proiettata nello spazio. La scoperta del movimento cubista da parte di Boccioni che arriva quasi contemporaneamente all’adesione al futurismo, è una folgorazione, la quadratura del cerchio di tutta la sua spasmodica ricerca.  Nella grande tela “La Risata” del 1910, oggi al MoMA di New York, si avverte un primo segnale in cui sono presenti elementi cubisti che convivono col figurativo. Oggi pare impossibile pensare che quest’opera non fu capita. Esposta nell’Aprile 1911 alla Mostra di Arte Libera di Milano, suscitò reazioni avverse nel pubblico al punto che un visitatore la sfregiò.

Col progredire della sperimentazione cubista, nelle opere futuriste di Boccioni la figura è destinata a subire oltre a una scomposizione interna anche la dislocazione delle sue parti. Arriva al punto di rinnegare gli assunti della scienza positivista che professa il “tempo spazializzato” ovvero del tempo ridotto alla successione di attimi in aperta polemica proprio con il primo Manifesto tecnico dei Pittori Futuristi di cui fa orgogliosamente parte, in cui la simultaneità è attuata secondo il meccanismo della figura “che va e che viene” “rimbalza” “appare e scompare”. La traduzione della simultaneità in Boccioni risulta infatti sintetica, non meccanica e analitica come nel Balla e in altri futuristi, il tempo viene valutato globalmente come dimensione della coscienza, perché si basa sul principio vitalistico della “durata” bergsoniana. Per il grande filosofo francese la durata è “slancio vitale” ma anche memoria, la simultaneità è l’atto del divenire insieme alla creazione, “una sintesi” di quello che si ricorda e di quello che si vede.

Un ruolo parimenti importante nella produzione artistica di Boccioni, sono le sue sculture.  Purtroppo alcune di esse vennero distrutte, mi riferisco a una serie di sei significative opere del 1911- 12 in legno, in gesso e in altri materiali, paradigmatiche per la loro modernità, dal titolo “Testa+ casa+ luce” in cui l’artista unifica la figura allo spazio-energia con andamenti a spirale.

 Negli ultimi anni della sua vita Boccioni sposa la soluzione  formulata  dai fisici, ripresa  anche da  Einstein, secondo cui la materia  è  energia,  teoria  che lo spinge a mettere a confronto la  materia col  movimento, come si riscontra nella sua più famosa scultura in bronzo, quella che si trova al Museo del Novecento di Milano  “Forme uniche nella continuità dello spazio” in cui è tangibile la trasformazione di un corpo come si presenta all’occhio umano in simbiosi con l’atmosfera resa  visibile modificando la forma.  Si riconosce un uomo che cammina compiendo un passo molto ampio, la posizione e le parti del corpo diventano spazi concavi e convessi, una trasformazione dinamica dove le gambe lasciano scie di luce bronzea, che rende ancora più facile, per chi osserva, rendersi conto dell’atto del movimento. Tra i futuristi per primo introduce nella scultura il concetto di polimaterismo con il ricorso ai più svariati materiali fusi nella tensione dinamica come nella  sua ultima scultura “Dinamismo  di un cavallo + case” (1914-1915) conservata a Venezia nella Collezione Peggy Guggenheim, rinvenuta  in pessime condizioni, le cui parti originali sono oggi  del cinquanta per cento,  ma che resta un esemplare unico tra le opere futuriste di  Boccioni che  esprime un concetto di grande modernità   per il dinamismo del  cavallo in corsa reso in sinergia con la sua forma stessa e con l’ambiente che lo circonda.  Nel Manifesto Tecnico della Scultura Futurista del 1912, Boccioni è molto critico nell’ambito delle produzioni scultoree del tempo e si scaglia contro tutte quelle che ormai giudica mere imitazioni del passato, muovendo accuse anche verso il concetto accademico del nudo, responsabile di non aver permesso alla scultura nessun rinnovamento plastico. Uomo colto e artista sensibile, appassionato di cavalli e di motori, Boccioni è perfettamente integrato nel suo tempo, il tempo della scienza e della modernità, della velocità e della civiltà che persegue il progresso.

La sua formidabile carriera viene fatalmente interrotta dalla morte avvenuta a soli 34 anni, per una banale caduta da cavallo.


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