TRA MITO, ARTE E PSICOLOGIA, LA STORIA DI PERSEFONE
di Andrea La Rovere
Nella mia rubrica del “Bazar della Storia”, dove vi racconto la storia come se fossimo tra amici al bar, ho deciso di inserire anche qualche puntata nei Miti Greci. Oggi vi racconto la storia di Persefone.
Tutti amiamo alla follia i miti greci.
Sono un vademecum di trame brillanti, narratologia e – interpretati a dovere – ci spiegano la psicologia meglio di un trattato. Bisogna però ammettere che quasi sempre le storie sono intrise di quel maschilismo tossico che permeava la cultura greca antica.
Prendete Persefone.
Quella se ne sta bella bella a raccogliere fiori assieme alle figlie di Oceano, quando quel virilone frustrato di Ade la rapisce su un cocchio d’oro talmente kitsch che non lo vorrebbero nemmeno al Castello delle Cerimonie. E lui che pensa di fare colpo col macchinone come un tamarro qualsiasi.
La vicenda pare già abbastanza marcia, ma in realtà è pure peggio.
Ade è fratello di Zeus, che lo ha salvato dopo che il padre Crono aveva ingoiato tutti i figli tranne per l’appunto Zeus. Già capirete che bella famigliola.
Ade, per ringraziamento, ce l’ha su per tutta la vita indovinate con chi? Zeus, proprio lui. Del resto, chi mai si dimostra più ingrato di qualcuno a cui avete fatto del bene? Ade è cupo, ombroso e lamentoso, un vero vampiro energetico, uno da cui pure Crepet e Morelli (per la prima volta d’accordo) vi direbbero di stare alla larga. In particolare, non gli sta bene che a Zeus sia toccato il cielo, a Poseidone il mare e a lui gli inferi. Non che su questo avesse tutti i torti, per carità. Già all’epoca le divisioni ereditarie erano una rogna.
A un certo punto Ade – probabilmente più per ripicca che per altro – pretende che Zeus gli trovi moglie e va dal capo degli dèi come una volta i paesani andavano dal prete. Quello, che vive nel senso di colpa per avergli fatto del bene, ha la brillante idea. Guarda il book con tutte le figlie avute fuori dal matrimonio – un tomo di mille pagine – e sceglie Persefone, la più bella. “Ma sì, vai e prenditela!”
“Ma non dovremmo almeno avvisarla? – chiede Ade – Demetra, sua madre, è un bel tipaccio!” Zeus, stuzzicato su chi porti i pantaloni a casa sua (nessuno: portano tutti i tonaconi), sbuffa e gli dice di darsi una mossa.
Il piano è diabolico, degno del re degli inferi: fa sbocciare un narciso tra i fiori che la bella va raccogliendo. Quella rimane imbambolata (narcotico, peraltro, viene da narciso) mentre dal fiore si apre una voragine: appare Ade col cocchio e tutto quanto et voilà.
Appena arrivati nei bassifondi, Ade completa la trappola e offre a Persefone un melograno. Chi mangia un frutto all’inferno non può tornare tra i viventi, recita l’articolo settordici comma x del codice dello Stige. Quella, ancora scioccata, sbocconcella sei semini ed è fregata. Forse.
Sì, perché Demetra, che è dea della fertilità e dell’agricoltura, oltre che madre vagamente possessiva, s’incavola. Di brutto. Scatena un inverno senza fine con tanto di terribile carestia e abbandona l’Olimpo facendo un pernacchione a Zeus che vuole fare il maschio di casa. Uno sciopero in piena regola, forse il primo della storia.
Demetra, distrutta dal dolore, si trasforma in vecchina e prende a peregrinare fino a quando viene accolta a Eleusi, dove fonda un culto misterico a lei intitolato. E Zeus? Come ogni buon capo che non vuole sentire ragioni, è costretto a cedere prima che l’infinito inverno porti alla fine del mondo. L’accordo che mette sul tavolo è questo: Persefone ha mangiato solo sei semi, quindi tornerà sulla Terra ma dovrà restare agli inferi per sei mesi all’anno. Avrete notato che tutti hanno voce in capitolo tranne la ragazza stessa, l’unica a non poter decidere della sua vita. A quei tempi – e spesso ancora oggi – era così.
Ci sono alcune varianti al mito, che tra i romani diventa quello di Proserpina, ma la storia a grandi linee è questa. La psicologia, giustamente, ci ha inzuppato il pane fin dalla sua nascita, come per altri miti.
Se a un primo esame Persefone rappresenta il ciclo delle stagioni, con la giovane che torna con la primavera a simboleggiare la semina e poi il raccolto, per tornare sottoterra in autunno, i significati sono più profondi. Persefone, che si chiama anche Kore (giovinetta), rappresenta la trasformazione da giovane spensierata a figura matura e responsabile (nell’Ade diventa custode come il marito-per-forza) attraverso un trauma. Ovvero la crescita superando disgrazie e lutti.
Demetra, col suo dolore devastante, richiama altresì il dolore che vive la madre che non riesce a staccarsi dai figli e non accetta che crescano e prendano il loro posto nella vita. Anche se, per come va il mito, la dea ha qui tutte le ragioni. Vista la personalità un po’ borderline di Persefone e la sua alternanza tra Terra e inferno, ci potremmo vedere anche la bipolarità e la sindrome maniaco-depressiva, spesso associata alle stagioni e caratterizzata da periodi di euforia (la Terra) e di down (gli inferi).
Persefone, da sempre, è tra i soggetti prediletti dell’arte, anche se è difficile scegliere la tela più bella. Tra Rossetti, Leighton, Waterhouse sarebbe impossibile. Il più suggestivo, però, è forse il dipinto del poco conosciuto Walter Crane, coi neri cavalli dell’inferno che paiono quasi prendere vita e soffiare zolfo dalle narici.
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