SAFFO

di Andrea Simi


“Chioma viola, veneranda, sorriso di miele Saffo”

Questo, in un solo verso, è l’unico ritratto dal vivo che ci rimane della capostipite di tutte le donne poeta. E’ opera di Alceo, suo contemporaneo e conterraneo. Saffo appare come una bella donna mediterranea, dalla chioma così corvina da avere riflessi viola e dal dolcissimo sorriso: si esprime un’ammirazione che, forse, sconfinava nell’amore.

 Saffo visse a tra il VII e il VI secolo a.c. Proveniva da una famiglia della migliore società dell’isola di Lesbo ed era animatrice di un tiaso, cioè una comunità di ragazze adolescenti con fine educativo e di preparazione alla futura vita matrimoniale. Quindi un luogo di iniziazione, come, d’altronde, l’eteria per i maschi.

 Questa circostanza ha alimentato il mito per il quale Saffo è divenuta il simbolo della omosessualità femminile tout court. La poetessa lesbia è diventata poetessa lesbica, associando il nome della sua patria a questo tipo di amore tra uguali.

 Il mito in questione ha certamente dei solidi fondamenti testuali nei frammenti che ci restano, e lo vedremo. Ma va adeguatamente contestualizzato: in primo luogo va ricordato che Saffo ha cantato anche l’amore eterosessuale e la leggenda (peraltro abbastanza inverosimile) vuole che sia morta gettandosi in mare dalle scogliere di Leucade, l’odierna Lefkas, per l’amore non corrisposto da Faone, un bel barcaiolo di Lesbo.

Comunque è ragionevole suppore che i riti del tiaso comprendessero anche l’iniziazione all’erotismo e alla sessualità in vista del futuro matrimoniale delle ragazze. Del resto lo stesso avveniva nelle eterie con gli adolescenti maschi. Questa pratica era normale nella Grecia antica (basti pensare agli efebi di Alceo, Anacreonte e molti altri) e non deve scandalizzare: bisogna tener conto che siffatte relazioni con adulti dello stesso sesso – che oggi verrebbero considerate pedofiliache – erano incoraggiate e viste con favore dalle stesse famiglie dei giovani come una opportunità per i loro figli.

Detto questo, solo per evitare grossolani equivoci, leggeremo tre celebri frammenti amorosi di Saffo: uno rivolto a un maschio e due a femmine, nella mirabile traduzione che ne fece molti anni fa Manara Valgimigli che era, a un tempo, grande filologo e raffinato poeta.

Amore

Scuote amore il mio cuore

come vento si abbatte su querce.

Dolce madre,

non posso più tessere la tela;

desiderio di un fanciullo mi ha vinta,

e la molle Afrodite.

Fermati, caro, rimani

dinanzi a me

scopri la grazia che è nel tuo sguardo

Gioia di amore

Beato è, come un dio

chi davanti ti siede e ti ode

e tu dici dolci parole e dolcemente sorridi.

Subito mi sobbalza, appena

ti guardo, dentro nel petto il cuore,

e voce più non mi viene,

e mi si spezza

la lingua, e una fiamma sottile

mi corre sotto la pelle,

con gli occhi più niente vedo,

romba mi fanno

gli orecchi, sudore mi bagna,

e tremore tutta mi prende,

e più verde dell’erba divento,

e quasi mi sento,

o Agallide, vicina a morire

Gongila

La tua veste mi fa tremare

Vieni, ti prego, Gongila,

fiore di rosa,

nel tuo mantello di latte;

ancora a te d’attorno volano

Poto e Peito,

tanto sei bella.

Questa stessa tua veste,

a guardarla,

mi fa tremare; di gioia

rabbrividisco.


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