L’epidemia “invisibile”: i Disturbi del Comportamento Alimentare

di Elisabetta Collalti


Epidemia. È questo ciò a cui stiamo assistendo. Un’allarmante diffusione di comportamenti disfunzionali in cui il cibo, da amico, diviene nemico. La nostra fonte di sostentamento, ma anche momento di condivisione, di ricordi, di emozioni, di vita, assume le sembianze di un carceriere che incatena corpo e anima delle sue vittime.

Ma spezzare quelle catene e liberarsene è possibile. Come? Innanzitutto parlandone, per conoscere cosa si ha di fronte e fare in modo che questa epidemia non sia invisibile. Nonostante al giorno d’oggi i casi di disturbi del comportamento alimentare (DCA) siano in aumento e con esordio sempre più precoce, rimangono purtroppo argomenti tabù.

Numerosi sono i fattori che possono predisporre a un DCA o scatenarne l’insorgenza: biologia, genetica, ambiente, traumi, eventi precoci, rappresentano solo alcuni degli ingranaggi che, interagendo tra loro, giocano un ruolo cruciale nello sviluppo di tali disturbi. In quest’epoca di bombardamento mediatico, risulta facile comprendere come i criteri estetici promossi in particolare dai paesi che adottano il modello occidentale ne abbiano favorito, e continuino a favorirne, la diffusione. Magrezza diviene quasi un sinonimo di bellezza, in una realtà fallace ed effimera incentrata sull’immagine e sull’apparenza, e la continua ricerca di una perfezione irraggiungibile poiché inesistente causa, soprattutto in persone vulnerabili, l’adozione di abitudini e comportamenti alimentari deleteri, nonché molto pericolosi.

L’informazione scarseggia, di conseguenza spesso si assiste a una grave sottovalutazione di questi problemi, chi ne soffre teme il giudizio altrui, non sa come chiedere aiuto e se ne vergogna, mentre chi vorrebbe porgere una mano non sa come farlo.

I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono patologie subdole, complesse, talvolta letali. Spesso, si presentano in comorbidità con altri disturbi tra cui quelli di personalità, d’ansia o dell’umore. Tra i più diffusi vi sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il binge-eating disorder.

L’aspetto che accomuna questi disturbi è il complesso rapporto che si genera non solo tra il soggetto e il cibo, ma anche tra la persona che ne soffre e il proprio corpo. Il cibo diviene il centro del mondo e, di conseguenza, la vita comincia a ruotare ossessivamente attorno ad esso.

L’anoressia nervosa rappresenta il disturbo psichiatrico con il più alto tasso di mortalità. È caratterizzato dalla restrizione nell’assunzione di calorie, il che comporta un peso corporeo significativamente basso, da un’intensa paura di ingrassare e da una visione distorta del proprio peso o del proprio corpo, o un’eccessiva influenza di peso e corpo sui livelli di autostima[1]. Nella maggior parte dei casi, i soggetti sperimentano un senso di onnipotenza alimentato dalla percezione di avere il controllo.

Il termine bulimia deriva dal greco “βουλιμία (boulimía), che letteralmente significa “fame da bue”. Nell’etimologia di questa parola traspare l’estrema voracità esperita dai soggetti che soffrono di tale disturbo, che comporta l’assunzione di eccessive quantità di cibo in un breve periodo di tempo, a cui generalmente si accompagna una spiacevole sensazione di perdita di controllo e comportamenti compensatori inappropriati.

Anche nel caso del binge-eating disorder, si assiste a episodi di abbuffata, che provocano forte disagio, e perdita di controllo; tuttavia sono assenti le condotte compensatorie tipiche della bulimia.

Generalmente tali episodi avvengono in segreto, poiché fonte di vergogna; pertanto, possono essere seguiti da sentimenti di disgusto verso sé stessi e sentimenti di colpa.

Nonostante la gravità di tali disturbi, e delle svariate conseguenze, non se ne parla a sufficienza.

Parlarne è il primo passo per sensibilizzare, affinché questi disturbi, e la salute mentale in generale, non siano un tabù. Alzare la voce e distruggere quel muro di silenzio che circonda questi piccoli, grandi universi. Conoscere per comprendere. Comprendere per imparare a vedere anche quel che sembra invisibile agli occhi, ma che invisibile non è.


[1] APA, 2014. Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5)


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