LAURA LATTUADA UNA MILANESE A ROMA
di Chiara Montenero
Seduta sul divano nel salotto della sua casa romana, la gonna plissettata le copre le lunghe gambe accavallate con compostezza. I morbidi capelli le incorniciano il volto formando delle piccole onde. Gli occhi attenti e vigili, il sorriso fanciullo di sempre. Laura Lattuada, attrice milanese di nascita e romana di adozione, mi apre le porte della sua casa e della sua vita che da quarant’anni la vede protagonista del palcoscenico italiano.
Si è formata come attrice all’Accademia del Teatro dei Filodrammatici di Milano diretta da Ernesto Calindri, ma deve la sua prima notorietà allo sceneggiato televisivo Storia di Anna diretta da Salvatore Nocita. Da allora a oggi ha lavorato in teatro, in televisione e al cinema, con i più grandi maestri.
Laura, quando hai sentito la “vocazione” di dedicarti alla recitazione? Eri iscritta alla Facoltà di Lingue e Scienze Politiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, poi cosa è successo?
In realtà io non ho mai sentito il desiderio di diventare un’attrice, la cosiddetta “vocazione” la potrebbe avere un’appassionata di archeologia o un’amante degli animali che quindi scelgono quel settore a cui dedicare il proprio futuro. Se ti dovessi dire quale strada avrei scelto, ti risponderei la carriera diplomatica. A parer mio, scegli di recitare per provare a farlo e vedere se ne sei capace e se ti piace. Nel mio caso, mi sono iscritta all’Accademia dei Filodrammatici per fare una cosa diversa, in realtà avrei anche potuto seguire un corso di botanica! All’epoca ero una liceale e mi diplomai contemporaneamente al liceo linguistico e all’Accademia, al mattino andavo a scuola e il pomeriggio frequentavo i corsi di recitazione. Terminati gli studi, mi sono iscritta alla facoltà di Scienze Politiche, ma ho anche iniziato a lavorare in teatro (e da allora non ho mai smesso) perché, al saggio finale dell’Accademia, occasione imperdibile per gli addetti ai lavori del mondo dello spettacolo, ottenni la mia prima “scrittura teatrale”.
Cosa ricordi di Ernesto Calindri e di quel periodo da “apprendista attrice”?
Calindri non mi amava particolarmente perché ero fuori dai suoi schemi mentali. Per lui, milanese sempre molto elegante, le studentesse dovevano indossare twin set di cashmere e mocassini Gucci. Io vestivo Fiorucci: salopette di jeans da meccanico e capelli permanentati. Mi rimproverava continuamente, tanto che, per l’ultimo saggio di fine anno, che era Le Nozze di Figaro, a me diede il ruolo di Cherubino, con tanto di pagliaccetto, calzamaglia, stivaletto scamosciato alla Peter Pan e parrucchino con taglio di capelli a caschetto. A diciassette anni, non è piacevole per una ragazza presentarsi in scena in quel modo: avrei potuto ucciderlo! Ci siamo ritrovati, dopo qualche anno, a Venezia per uno spettacolo con la regia di Scaparro, e in quella occasione Calindri fu molto gentile con me chiedendomi di passare al “tu” visto che eravamo ormai colleghi, ma io continuai a chiamarlo “Maestro”. Qualche tempo prima di morire, rilasciò una splendida intervista al Corriere della Sera in cui si raccontò e mi citò come giovane attrice di talento. Mi sorprese e mi rese felice.
Devi la tua notorietà alla televisione, come mai hai preferito il palcoscenico? Forse per evitare di accettare compromessi?
Assolutamente no, è stato solo casuale in quanto mi hanno offerto ruoli teatrali che mi intrigavano maggiormente di quelli televisivi. Mi è capitato di trovarmi in situazioni imbarazzanti in cui il produttore, piuttosto che il politico o il regista mi abbiano chiesto esplicitamente “qualcosa in cambio” ad un ruolo importante in uno sceneggiato televisivo, ma ho rifiutato e me ne sono andata. Sono scelte che un’attrice deve fare, ma trovo assurdo che poi se ne lamenti perché nessuno ti obbliga a concederti se non sei disposta a farlo. Vai avanti senza compromessi e con maggior fatica, ma il talento e la correttezza premiano sempre.
Luigi Proietti è stato un maestro importante per il tuo percorso artistico, potresti raccontarmi qualche aneddoto di scena e dietro le quinte del Cyrano dei Bergerac?
L’inizio con Gigi fu abbastanza traumatico, io ero molto milanese e lui era molto romano. Durante il periodo delle prove del Cyrano, che furono lunghissime, ben quarantacinque giorni, i nostri rapporti furono molto freddi e professionali, ma quando finalmente andammo in scena, tutto cambiò. Non conoscevo le serate dopo lo spettacolo, andare a dormire alle sei del mattino. Ero astemia e non avevo mai acceso una sigaretta. Gigi mi ha fatto capire che questo è un lavoro in cui ci si può anche divertire, non è una punizione. Il suo carisma mi affascinò completamente. Fu un grande maestro e un grande amico.
(fotografie di Daniele Piccini)
Michele Placido, Nino Castelnovo, Massimo Bonetti, Luca Zingaretti, Giancarlo Zanetti, Johnny Dorelli, Gianfranco D’Angelo, Gabriele e Lorenzo Lavia, sono solo alcuni dei tuoi molti compagni di viaggio, con chi ti sei sentita più a tuo agio e con chi, invece, hai avuto difficoltà a creare una sintonia?
Il mio partner migliore è stato senz’altro Giancarlo Zanetti con cui ero in assoluta sintonia, qualsiasi cosa fosse successa in scena, con lui mi sentivo tranquilla. Mi dispiace che la nostra collaborazione sia finita perché eravamo davvero affiatati. L’unico compagno di scena con cui mi sono trovata in difficoltà è stato Michele Placido, grande attore e regista, ma tra di noi non c’è stata mai quella complicità sul palcoscenico. Durante la cena per festeggiare la fine delle repliche del nostro spettacolo, mi disse che ero un’ottima attrice ma anche un “manico di scopa”. Probabilmente aveva ragione perché non mi ero mai lasciata andare recitando al suo fianco. Di certo stavo vivendo un momento particolare della mia vita, mi stavo infatti separando dal mio compagno Luca Giordana con cui avevo una relazione complicata. Mi dispiace di non aver sfruttato al meglio l’occasione di lavorare con Michele, me la sono giocata male, ahimè!
Quale il personaggio da te interpretato che ti somiglia maggiormente e quale quello che hai faticato a impersonare?
Non esiste un personaggio, tra quelli da me interpretati, che mi somigli. Per quanto concerne invece quello difficile da impersonare, posso dirti che è senz’altro la protagonista di “Non si sa come” di Pirandello, Bice Daddi, donna bigotta, con il rosario sotto le vesti, che mi ha creato non pochi problemi, nonostante la regia impeccabile di Gabriele Lavia, un vero genio.
Qualche tempo dopo, a causa di una nevicata e conseguente chiusura dell’aeroporto di Linate, mi sono bruciata la possibilità di essere la protagonista femminile del suo “I Masnadieri”… e Monica Guerritore (che ebbe la parte al mio posto) ancora mi ringrazia. C’est la vie!
“L’Inferno non esiste”, monologo tratto da “Rispondimi” di Susanna Tamaro, che hai portato in scena con grande pathos, affronta il tema della violenza sulle donne, nella tua vita privata o nel tuo lavoro, hai mai subito violenze fisiche o psichiche?
Nella mia vita privata ci sono andata vicinissima, anche se non ho subito più che un calcio, uno schiaffo o un pugno. Leggevo che una donna su tre ha subito violenze da parte del partner e questa è una cifra enorme che ci fa riflettere.
Dopo quasi tre anni di pandemia, finalmente riaprono i teatri e i cinema, come hai vissuto questo periodo lontana dai riflettori?
Ero talmente preoccupata da quello che succedeva che non ho mai pensato ai “riflettori”. Con mio marito, Domenico, ci siamo trasferiti in campagna dove abbiamo vissuto con ansia un periodo di attesa di ritorno alla normalità, ma anche un momento di riflessione sulla nostra vita sempre in corsa. Per quanto riguarda le difficoltà economiche, ci sono stati moltissimi stanziamenti per noi attori, tanto che alcuni di noi hanno guadagnato maggiormente di prima del Covid. No comment!Grazie, Laura, del tuo tempo e della tua squisita ospitalità! Merde, merde, merde!!! Si dice così nel vostro ambiente, giusto?