IL CONDOR
di Pino Ammendola
Lo spettacolo di cui voglio parlarvi questa volta, si chiama “Il Condor” ed è uno di quei monologhi che ti lasciano il segno, ti traversano e continuano ‘a volare’ silenziosamente dentro di te proprio come fa il condor, che è un uccello che vola per miglia e miglia senza sbattere le ali. La regia è di Massimo Venturiello, famoso interprete spesso ‘prestato’ alla direzione teatrale, che qui, generosamente mette tutta la sua esperienza a servizio di un attore poco noto al grande pubblico, Camillo Grassi, che però in questa piece raggiunge livelli di verità assolutamente straordinari, scatenando negli spettatori un meccanismo empatico che li costringe a soffrire e sudare insieme a lui. E sì perché il Condor, questo è il soprannome del personaggio, è un ‘gregario’, un oscuro ciclista che sopravvive facendo ‘massa’ intorno a un capitano. Lo sfortunato ciclista è lì nella misera stanza dove vive e si allena e pedalando faticosamente sui rulli, ci racconta la sua vita e tutti i suoi sogni. Lui è quello che deve soccorrere il capitano nei momenti di crisi, tirargli la volata. Deve cercare di farlo vincere, immolarsi per la gloria di un altro. Anche se è poco più che una miseria, è pagato per questo. Ma chi, in vita sua, non ha mai sognato di arrivare al traguardo per primo? Chi non ha mai pensato di vincere almeno una volta? Di superare il fatidico limite della mediocrità e diventare finalmente un campione, anche solo per un momento? Forse un sogno così giustifica tutto, anche un aiutino chimico… quella brutta cosa… il doping. La tentazione è forte, quella maglia dal colore così bello è lì… a poche pedalate! Ma troppo spesso le ipotesi di gloria si trasformano in tragedia e il nostro povero gregario, a differenza dell’uccello che gli dà il soprannome, non raggiungerà mai le alte vette.
Il testo di Gianni Clementi, prolifico e conclamato autore dei palcoscenici nostrani, diventa una straordinaria metafora del nostro tempo. La metafora di una società competitiva e senza scrupoli, dove solo i vincenti a qualsiasi costo, sembra abbiano diritto di cittadinanza. Un mondo che non prevede nemmeno concettualmente i deboli, anche se ovviamente non ne può fare a meno. Il ciclismo dunque come pretesto per parlare d’altro, della corsa della vita, ma anche forse per ricordare odori dimenticati dell’infanzia, profumi d’arance spagnole, visioni ad alta quota di un’antica povertà, ormai sconosciuta alle nostre rassicuranti latitudini del benessere. Seppur in uno sfogo ironicamente tragico, resta l’ingenuo sogno del gregario: un desiderio talmente umano da non poter non sollecitare, in chi lo ascolta, un genuino istinto di solidarietà. Questo meraviglioso testo produce in questo caso anche un curioso effetto meta-teatrale, un attore che in qualche modo sul palco è sempre stato ‘gregario’, finalmente prende la fuga, una fuga decisamente vincente, che gli permette di mostrare tutta la sua tecnica, ma soprattutto il suo coraggio, il suo grande cuore, laureando in volata, Camillo Grassi capitano e prim’attore assoluto!
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