I CONTADINI DEL SUD

di Pino Ammendola


Ci sono degli spettacoli teatrali che vivono in una sorta di limbo, un circuito parallelo, sicuramente virtuoso, ma in qualche modo anche ghettizzante: mi riferisco a quelle pièce che solitamente non entrano nella programmazione stagionale dei grandi teatri, ma appaiono come eventi episodici, in qualche modo unici, pur essendo in scena magari da anni. A volte per ragioni relative al tema trattato, ma molto più sovente perché sono opere che non si pongono il problema di compiacere il pubblico, né tantomeno i gestori dei teatri, troppo spesso inclini a preoccuparsi solo di “fare cassetta”. Avviene così che questa sorta di spettacoli fuori dal coro, nonché fuori dai premi e premiucci inventati dai solerti burocrati dello stivale, si ritrovi a esser anche “fuori” dalla miriade di riconoscimenti economici che dovrebbero sostenere i prodotti di maggior valore culturale. E se il non ricevere dei premi non fa di certo soffrire più di tanto, soprattutto se si sanno essere sempre concordati a tavolino (con regole di perfetta orologeria, dove i così detti esperti premiano a turno solo i propri protetti), il non accedere a risorse, teoricamente per tutti, lascia l’amaro in bocca al pensiero di cosa potrebbe fare con quel danaro un bravo teatrante animato da sincero spirito di ricerca!

Mi si perdoni la premessa al limite della lamentazione geremiaca, ma serviva a introdurre uno spettacolo che ricade in questa categoria, oserei dire “morale”. 

Si tratta di “Contadini del Sud” di Ulderico Pesce, liberamente ispirato agli scritti del lucano Rocco Scotellaro, il poeta contadino e della poetessa Amelia Rosselli, figlia di Carlo Rosselli, fatto trucidare con il fratello Nello da Mussolini. 

La pièce interpretata da Maria Letizia Gorga e dallo stesso Ulderico Pesce, accompagnati dai musicisti Stefano de Meo e Pasquale Laino è andata in scena per la prima volta nel 1998.  Quest’anno infatti festeggia i venticinque anni di repliche e pur non avendo mai goduto di una programmazione in un teatro stabile nazionale, ha girato letteralmente il mondo, dall’Argentina all’Australia, dalla Svizzera al Venezuela, calcando il prestigioso palco del Theatre des italiens a Parigi, fino alle improvvisate pedane delle piazze di piccolissimi paesini italiani, sempre accompagnato da critiche esaltanti e dall’autentica commozione del pubblico più disparato.

A fare da sfondo, alla storia dell’amore, senza pace e senza fortuna, tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli, lo spaccato dell’Italia del secondo dopoguerra, della miseria imperante in Lucania e la vita di Rocco, raccontata attraverso i suoi stessi scritti. Il viaggio a Roma per pubblicare il suo romanzo sui contadini del sud (una sorta di archivio di racconti che gli stessi contadini, emigranti e pastori gli avevano fatto). L’incontro con la giovane poetessa alla stazione Termini. La nascita del loro amore. La delusione della città e il ritorno ai boschi lucani dove, tra i contadini e la gente semplice, la loro vita trova finalmente pienezza. Un incontro bellissimo di due solitudini, spezzato dalla morte prematura del poeta, amato da una donna-musa che conoscerà il dramma dell’isolamento psichiatrico fino al gesto culminante del suicidio. Questa vita difficile e mai comune, rivive attraverso la meravigliosa prova attoriale di Maria Letizia Gorga, capace di dare anima a una figura femminile così particolarmente emblematica e piena di sfumature e di cantare e ballare ai ritmi popolari, ma anche di attraversare il palcoscenico con classe e raffinatezza non comuni. Accanto a lei un poderoso Ulderico Pesce, nei panni di Scotellaro, ma anche di sua madre e di alcuni dei contadini descritti nel libro-inchiesta dello scrittore. In stato di grazia e forte delle sue radici di puro lucano, è capace di un’attenzione alla trasmissione di emozioni, stati d’animo e messaggi, ormai dimenticata dal teatro di oggi, attento solo al mero divertimento senza costrutto. Grazie ai maestri Stefano de Meo e Pasquale Laino lo spettacolo si impreziosisce dei climi sonori della tradizione di “un meridione del mondo” con musiche popolari sefardite, chassidiche, yiddish e della ritualità Lucana. Insomma uno spettacolo che se nel suo girovagare, come un cantastorie popolare, dovesse capitare nel vostro raggio d’azione non dovete assolutamente perdere, premiando voi con le emozioni che saprà donarvi e lo spettacolo stesso con la vostra presenza, in barba a tutti gli elargitori di falsi premi d’Italia.


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